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JOE 7's FICTION GALLERY: La Grande Ombra

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view post Posted on 18/4/2009, 22:36     +1   -1

Ill.mo Fil. della Girella

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Ecco qui il racconto che sto preparando: è l'inizio, devo ancora svilupparlo tutto...siate clementi, è il mio primo tentativo!! :inchino:
I commenti se volete potete postarli nel thread "solo commenti". Ciao! :nagai:


GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA

grandeombravariante2.th


1 - L’inizio

“Era da tanto tempo che non sognavo Rubina.”

Ma in quel sogno lei era lì, ancora viva, con quegli occhi scintillanti e i capelli rosso fiamma che ancora gli danzano davanti mentre osserva il nuovo giorno. Erano passati tanti anni dalla sua morte, ma a volte sembrava ieri. Ricorda ancora il prato di montagna con quel pungente profumo, dove teneva stretto il suo corpo ormai privo di vita. A quel ricordo gli occhi di Actarus si inumidiscono.

“E’ strano che mi ricordi soprattutto quel tramonto.”

Rubina era morta mentre il sole cominciava a declinare. E quel tramonto era scarlatto, con le nubi che assumevano colori distanti e indefinibili. Aveva pianto come mai prima, davanti a un sole di fuoco che si spegneva e faceva risaltare la gigantesca figura di Goldrake che troneggiava in un’espressione silenziosa e indifferente. Un robot, anche se gigante, non poteva piangere; e in quel momento Actarus, per quanto fosse assurdo, aveva odiato Goldrake per questo.
Mille ricordi si accavallano nella sua mente, quando, ad un certo punto, si riprende e torna a pensare a quel sogno. Ieri notte ha sognato Rubina. Ma quello che lo colpisce è la natura del sogno. Rubina dai capelli rossi non appariva felice. Certo, quando Actarus la conosceva da viva, vedeva nei suoi occhi un’allegria che però nascondeva un fondo di tristezza, forse per il fatto di essere la figlia di Vega, o per altro che solo il suo spirito conosceva. Forse una premonizione oscura di come sarebbe finita la sua storia. Ma in quel sogno era preoccupata. E aveva detto:
“Duke, la grande ombra si avvicina. Stai attento”.
Duke. Il suo nome, quello che portava all’inizio, prima di farsi chiamare Actarus, quando era sulla Terra. Solo Rubina era capace di chiamarlo Duke in quel modo profondo, intimo, che sempre lo incantava.
Non era un sogno, Actarus lo sentiva. Era un avvertimento. Sta arrivando qualcosa di grande, di così terribile che nemmeno l’esercito di Vega può reggere il confronto.

Venusia si stira nel letto come una gatta. Aveva dormito benissimo, e ora vede la luce del sole che illumina la stanza. Accennando un sorriso, scende dal letto e indossa la vestaglia. Per un attimo si guarda allo specchio e si mette una mano nei capelli, aggiustandoli. Erano diventati molto belli, così lunghi. Avrebbe dovuto farseli crescere prima. Una volta Mizar glie l’aveva detto:
“Ma perché non ti fai crescere i capelli, Venusia”?
“Non dire sciocchezze, Mizar. Per una che lavora nei campi, i capelli lunghi sono d’intralcio. Corti così, sono più comodi”
“E come farai a farti notare da Actarus, allora?” disse con aria furbetta.
“Fatti i fatti tuoi!” aveva risposto Venusia stizzita, e Mizar era scappato via.
Venusia si rallegra del ricordo: quel piccolo delinquente di Mizar! Certo che Naida coi suoi capelli lunghi non si sarebbe trovata bene a mungere le mucche…
E da allora ne ho fatta di strada, si dice Venusia. Regina di Fleed e moglie di Actarus…
Al pensiero di Actarus, Venusia si volta verso di lui. E’ in piedi, assorto, a guardare dal balcone il giardino del palazzo reale con uno sguardo pensieroso e malinconico. Non vedeva da tempo quello sguardo: in quel momento, Venusia capisce che è successo qualcosa.

“Buongiorno, Actarus” dice all’improvviso, per spezzare quel silenzio. “Hai dormito bene?”
Actarus, assorto nei suoi pensieri, non risponde. Poi, ad un certo punto si scuote e parla in fretta, come per scusarsi:
“Buongiorno, Venusia”
Poi torna il silenzio imbarazzante. Actarus è confuso da quello che è successo, e non sa come andare avanti. Ma Venusia riprende subito.
“C’è qualcosa che non va, vero? Lo vedo dai tuoi occhi”
“E cosa dicono i miei occhi?”
“Tante cose. Per esempio: ‘sono preoccupato perché all’improvviso è successo qualcosa e non so come dirlo, soprattutto a Venusia, se no lei si preoccupa e mi dispiace. No, è meglio se non lo dico a nessuno e lo tengo per me’. Conosco il tuo stile, re di Fleed. Ho indovinato o no?”
Actarus è sorpreso. Venusia non smetteva mai di stupirlo. Solo lei riusciva a leggergli dentro come un libro aperto. Nessuno, tranne forse i suoi genitori, riusciva a capire i suoi pensieri fino a quel punto. Nemmeno Naida o Rubina: chissà, forse se avessero passato più tempo con lui…ma gli incontri con loro erano stati brevi e tormentati. Ma con Venusia era diverso: si erano conosciuti e studiati per tanti anni fino a diventare l’uno lo specchio dell’altro. Erano passati i tempi in cui Venusia lo guardava solo con ammirazione; ora quello sguardo rimaneva, ma più maturo, unito a una conoscenza profonda di lui, che forse era cominciata a svilupparsi sin da quando si erano incontrati per la prima volta. E sentirsi così scoperto lo metteva sempre in imbarazzo: che sia per questo che non si era mai aperto chiaramente a lei quando erano insieme sulla Terra? Non solo a causa dei tormenti per la guerra contro Vega, ma anche per paura? Paura di essere conosciuto nel profondo?
Actarus, scacciando questi pensieri che gli erano venuti come una cascata, risponde a Venusia con un tono quasi di sollievo:
“Hai indovinato, mia regina. Sì, è successo qualcosa. Ieri notte ho sognato. Rubina mi era apparsa e mi diceva di stare attento alla grande ombra.”
“La grande ombra? E che cos’è?”
“Non lo so. Ma ho la sensazione che sia qualcosa di serio. Forse Rubina dall’aldilà mi voleva avvertire. Era a quello che stavo pensando.”
“Forse Vega che ritorna?”
“Il suo pianeta è stato distrutto, e lui insieme al suo esercito è polvere e cenere. Non facciamo dei romanzi: chi muore non ritorna.”
Venusia abbraccia Actarus da dietro, appoggiandogli la testa sulla schiena. “Allora è qualcos’altro, qualcosa di…”
Venusia si ferma di colpo, come se le fosse venuto in mente qualcosa. Actarus si volta.
“Cosa c’è, Venusia?”
“Ora che ci penso…” Venusia è diventata preoccupata e perplessa, come se stesse per dire un’assurdità, ma non ne è del tutto sicura.
“Actarus, tu lo sai che mi piace ogni tanto guardare le stelle dal telescopio del monte Jibera…perché posso vedere anche la Terra da Fleed”
“Lo so. Perché me ne parli?”
“Perché…” Venusia esita per un momento “perché l’astronomo Larus mi ha fatto vedere l’altro giorno una zona dello spazio, a Ovest, dove non ci sono stelle.”
“Non ci sono stelle? Cosa dici? Sarà una nebulosa, un effetto cosmico che non le rende visibili ad occhio nudo…”
“No. In quel punto, c’erano prima delle stelle. Larus me l’aveva detto. E quella zona nera, senza stelle, sembrava come una mano gigantesca. Aveva la forma di una mano, credimi! Non te ne ho parlato perché sembrava un’assurdità, e Larus mi aveva promesso di darmi dei dati più precisi. Inoltre mi avresti presa per pazza.”
Actarus non crede alle sue orecchie. E’ la storia più inverosimile che abbia mai sentito. Possibile che quella mostruosa “mano” sia la grande ombra? Dopo un attimo di silenzio, Actarus risponde:
“Non ha senso. Comunque hai fatto bene a parlarmene. Andiamo a cambiarci, adesso: gli ambasciatori di Geobaldi devono venire oggi. Ma appena possibile voglio parlare con Larus. Mi piacerebbe vederci chiaro.”
Actarus cinge le spalle di Venusia con un braccio e la bacia per tranquillizzarla.
“Non preoccuparti” le dice guardandola negli occhi.
“Non mi preoccupo” replica con sincerità Venusia “e nemmeno tu devi farlo. Qualunque cosa sia, la sistemeremo insieme. Su, andiamo!”

(NOTA: Se qualcuno vuole fare commenti, qui c'è il link: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost.
Se qualcuno vuole scaricare la puntata in formato word, qui sotto ho messo il link.)

Edited by joe 7 - 10/6/2014, 16:15
 
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Ill.mo Fil. della Girella

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Hadi, l’ancella, sposta le tende. Il sole è già alto, è il momento di alzarsi per tutti, anche per il principe. La stanza d’un tratto non è più in penombra e i raggi del sole mostrano i mobili raffinati, le mura colorate e piene di disegni di personaggi fiabeschi, i giocattoli sparsi. Hadi osserva la culla al centro della stanza: il principino Rex dorme ancora. L’ancella lo guarda dall’alto con tenerezza: non ha ancora cinque mesi, e cominciano già a crescergli i capelli. Tiene stretto l’orsacchiotto col braccio e ha il pollice in bocca. Dorme sempre così, Hadi lo sa bene: e vuole bene a quel bimbo come se fosse figlio suo.
Certo che è un nome curioso per un bambino…Rex King.
La regina glie l’aveva spiegato un giorno:
“Actarus mi aveva chiesto come chiamare nostro figlio. Visto che Actarus qui su Fleed lo chiamano Duke, che significa “Duca” da noi sulla Terra, ho voluto dare al bambino un nome simile a quello del padre e nello stesso tempo più grande, che significhi il massimo augurio di una vita felice, una vita da re. Ma non quella di un re che vive isolato nella sua reggia, ma di un re saggio e al servizio della sua gente, tanto da essere due volte re: Rex King.”
Dopo quello che è successo su Fleed e al re Duke, dare il massimo degli auguri ai propri figli è una cosa comune. Molti nuovi nati su Fleed hanno nomi pieni di speranza, come reazione dopo l’apocalisse che è accaduta in passato. Anche Hadi ha dovuto viverne l’esperienza, e la sua carne e il suo spirito ne saranno per sempre segnate.
Spero che non accada nulla a lui, almeno, pensa Hadi, ricordando la crudeltà degli invasori di Vega. Ad un tratto, entra la regina Venusia per salutare suo figlio: tutte le mattine lo stesso rito. Hadi si fa da parte.
“Come sta il piccolo Rex? Ha dormito bene, Hadi?”
“Come un angelo, maestà.”
“Ne sono contenta.” Venusia lo accarezza leggermente su una guancia, senza svegliarlo. “Oggi dobbiamo ricevere degli ospiti, Hadi: la comunità di Geobaldi. Comunque cercherò di sbrigarmela in fretta: al massimo arrivo oggi pomeriggio, ma conto di fare prima. Quanto più è possibile, voglio allattarlo io stessa e stargli vicino. Tu pensa a tutto: mi fido di te.”
“Grazie, maestà.”

In quello stesso momento, un paio di occhi di serpente sta guardando la scena da un’immagine circondata dal fuoco. Una donna dai capelli lunghi, lisci e neri, osserva la scena a braccia conserte, sorridendo crudele. Nel sorriso brillano dei canini aguzzi. Con una mano si accarezza il braccio, rivestito da un’armatura d’acciaio brunito che la ricopre su tutto il corpo, dal collo in giù. Si volta verso un punto indistinto, nero. A guardare con attenzione, si può percepire una figura vagamente umana seduta su un trono di pietra. In tutto quel nero, solo due occhi di fiamma brillano di una luce innaturale.
La donna, parlando all’essere dagli occhi ardenti, osserva:
“Eccolo, Oscuro. E’ lui. Rex, lo chiamano. Quante idiozie devo sentire…” e fa una smorfia di disgusto.
“Lasciali fare, Jezabel.” risponde l’essere sul trono, con una voce cavernosa, che sembra venire dall’oltretomba. “Ormai non possono fare più nulla, è tutto nelle mie mani. L’ombra trionferà su ogni espressione di vita.”
Jezabel si inchina profondamente davanti all’essere che chiama Oscuro.

Actarus osserva con attenzione attraverso il telescopio di Jibera. Non ci sono dubbi, in quella zona a ovest dello spazio non ci sono stelle. E’ di un nero assoluto, innaturale. Persino la sua forma lo è: un’immensa, spaventosa mano artigliata, che avanza e sembra ingrandirsi.
“Ma...si muove! Sembra che si muova!” dice Actarus, sconvolto.
Larus, l’astronomo, annuisce. Si accarezza la barba nera, con qualche traccia di bianco, con aria preoccupata. Tiene in mano una cartella di dati, che purtroppo sa essere inutili: quel fenomeno misterioso è inspiegabile. Era quasi impazzito a cercare un precedente negli annali dell’astronomia di Fleed, almeno quelli sopravvissuti all’invasione di Vega. Nulla, neanche il più piccolo cenno di un avvenimento simile che sia accaduto in passato. Stringe per un attimo qualche pelo della barba per il nervosismo, e risponde:
“Sì, maestà. Per quanto sia assurdo, quella “cosa” si muove.”
“Ma cosa può essere? Una sorta di buco nero?”
“Non ne ho mai visto uno così in tutta la mia vita, maestà.”
“Da quando c’è?”
“Da pochi giorni. Ma sembra che venga da molto lontano, da zone non percepibili neanche dai sonar.”
Actarus si alza dalla sedia dell’osservatorio astronomico, stizzito.
Cosa diamine è quell’affare? La “grande ombra” di cui parlava Rubina? E come si fa a combattere qualcosa che divora i pianeti? Se fosse un esercito come quello di Vega, potrei fare qualcosa. Ma qui? Non so neanche da dove cominciare.
“Larus” dice all’improvviso “questa faccenda deve restare segreta il più possibile. Il panico davanti a una cosa simile sarebbe tremendo.”
“Sì, maestà. Ma è difficile nascondere una cosa così evidente. Sono sicuro che adesso molti si chiederanno perché lì non ci sono le stelle.”
“L’importante adesso è non parlarne, in modo che si convincano che sia un inganno ottico o qualcosa dovuto a situazioni che non conoscono. Certo, prima o poi la cosa scoppierà, ma meglio poi che prima. Nel frattempo continuate a studiare il fenomeno e avvertitemi alla minima anomalia. Voglio essere informato in tempo reale.”
“Sì, maestà. Ma cosa pensa di fare contro questo?”
“Conosco delle persone che possono darmi una mano. Intanto, faccia come ho detto.”
Larus si inchina e Actarus esce in fretta dall’osservatorio.
La situazione è maledettamente grave. Se quel buco nero - o quello che è – arriva qui, è la fine per Fleed. Devo chiedere aiuto a qualcun altro. Forse mio padre, sulla Terra…e Alcor…devo contattarli al più presto!

(NOTA: Se qualcuno vuole fare commenti, qui c'è il link: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost.
Se qualcuno vuole scaricare la puntata in formato word, qui sotto ho messo il link.)

Edited by joe 7 - 10/6/2014, 16:23
 
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Ill.mo Fil. della Girella

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Il cavallo galoppa come il vento e Alcor sente la brezza della sera sulle guance. Si sente in pace col mondo: in quel momento tutto gli sembra bello. Da quell’altura si vede il Rocket Ranch, la “Betulla Bianca”, con il bosco e le montagne tutt’intorno. Il sole tramonta dietro i picchi, allungando le ombre. Un paesaggio da cartolina.
E’ stata una lunga giornata, all’osservatorio del professor Procton: da quando era diventato un centro di ricerche avanzate, Alcor, che ormai è l’assistente numero uno del professore, non aveva avuto un attimo di pausa. Decine di test su nuovi tipi di metalli e leghe, una miriade di analisi matematiche sulle strutture subatomiche, un’infinità di ricerche nelle zone più sconosciute dello spazio…per Alcor era appassionante, ma anche stancante. Congressi, riunioni, discussioni, organizzazioni…ma alla fine della giornata una cavalcata fino al Ranch compensava tutto.
Anche se Maria era contenta, non le andava di vedere così poco Alcor durante il giorno, quindi spesso veniva a trovarlo al centro di ricerche. Alcor aveva protestato, ma Maria era irremovibile.
“Ti porto da mangiare e vengo a salutarti, cosa c’è di strano se una moglie vuole trovare suo marito?”
Anche se era passato del tempo, non riusciva ancora a rendersi conto che Maria era diventata sua moglie. Magari sarebbe stata più tranquilla dopo il matrimonio. Macchè! Sempre la stessa, una ragazza argento vivo che aveva sempre qualcosa da fare: andare in moto, mettere su un nuovo recinto, aiutare le mucche a partorire, organizzare l’allevamento dei cavalli e le coltivazioni. Rigel ormai non saprebbe fare a meno di lei. E, come se non bastasse, la sua intelligenza e acutezza in certi calcoli matematici ha sorpreso molti al centro di ricerche. Decisamente un tipo inesauribile. Con un solo dispiacere segreto: non avere ancora un figlio. Maria non ne parla mai, ma Alcor lo capisce da tanti indizi: il modo con cui lei fissa i bambini, certi momenti in cui lei sospira fissando il vuoto.
Alcor cerca di scacciare questi pensieri: prima o poi il figlio verrà, ci vuole pazienza!
Tende le redini e fa galoppare il cavallo verso casa.
“Ehilà, Alcor!”
Mizar lo saluta appena lo vede, seduto sulla staccionata del ranch. Ormai è cresciuto; anche se è sempre un ragazzino, sta cominciando a lavorare di più insieme a suo padre.
“Ciao, Mizar! Tuo padre dov’è?”
“Sempre lì in alto a guardare col cannocchiale.”
Alcor alza lo sguardo e vede Rigel che fissa il cielo col cannocchiale, poi si siede urlando alla radio:
“Extraterrestriiiii, dove sieteee? Siamo vostri amiciiii! Vi aspettiamooooo!”
Scendendo da cavallo, Alcor scuote la testa e commenta:
“Dopo tutta questa storia di Vega, come fa a continuare come prima?”
“Bè, si è documentato.” risponde Mizar “Ha saputo che esistono delle razze aliene come i Boazani, i Cambelliani, persino un tal Principato di Zeon. Insomma, è il suo chiodo fisso.”
Alcor sorride. Forse, Rigel fa così anche per non pensare a Venusia, lontana anni luce dalla Terra, lì su Fleed. Anche se Rigel è contento per sua figlia, come padre un po’ le manca. Poveretto…
“Alcor, brutto fannullone che non sei altro! Ti pare l’ora di tornare qui?”
L’urlo di Rigel scuote l’ex pilota del TFO, che rimane spiazzato non sapendo che dire.
Rigel scende subito giù dalla torre del suo osservatorio personale, aiutandosi con una corda. Però, con un movimento troppo brusco, perde la presa e sbatte con la testa per terra. Ma si alza subito e si dirige verso Alcor con la determinazione di un carro armato. Picchiandogli il dito sul petto, gli urla:
“Qui ci sono un mucchio di cose da fare! Allevare, portare i cavalli all’abbeverata, la coltivazione di barbabietole! Come ti permetti di far niente e di lasciare tutto a Maria? Eh? Fai lavorare tua moglie? Vergogna!”
Allora Alcor si riprende e sbotta:
“Ma…ma che discorsi sono questi? Sai benissimo che lavoro al centro di ricerche con Procton! Non posso mica fare due cose insieme!”
Rigel incrocia le braccia e, voltandosi dall’altra parte, dice guardando verso di lui:
“Tutte scuse! Il vero lavoro è questo, mica quella roba che fate lì! Vi cuocete il cervello e basta!”
Il cervello cotto ce l’hai tu, testa di rapa!
Alcor moriva dalla voglia di dirgli questo, ma con uno sforzo miracoloso riesce a trattenersi.
“Ah, vado a vedere come sta Maria!”
E si defila alla svelta, senza badare alle urla del “poveretto” Rigel. Non è cambiato di un millimetro. Con o senza Venusia, Rigel resta Rigel.
La casa di Alcor e Maria è vicina alla costruzione principale del Ranch. Alcor la raggiunge in un balzo e, appena entrato, sente che qualcosa non va. Non sente l’odore della cena, eppure Maria ci teneva sempre a prepararla. Voltandosi, vede Maria seduta per terra, a gambe incrociate, guardando leggermente verso l’alto con aria assente. Alcor, spaventato, dice:
“Maria! Cos’hai?”
E a quella voce, gli occhi di Maria ritornano normali.
“Oh, cosa? Alcor? Ma sei già qui? Che ore sono?”
“Saranno le otto passate…che ti è successo?”
“All’improvviso ho sentito qualcosa oggi…sai che ho un legame particolare con mio fratello Actarus!”
“Si, lo so, hai quelle capacità mentali di telepatia e simili...cosa è successo ad Actarus?”
“Ho sentito come una richiesta di aiuto. Alcor, lui è nei guai! E temo che sia qualcosa di molto grave!”

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L’immensa mano oscura avanza. Una stella troppo vicina ad essa lampeggia come se chiedesse aiuto. Poi, ad un certo punto, si spegne. Un’altra stella è scomparsa nell’oscurità.
Per quanto sembri incredibile, all’interno di quell’oscurità alcuni pianeti vivono, brillando però di una luce sinistra. I più grandi sono sette, tra i quali il maggiore è l’Acheronte, dove si trova un castello talmente grande da coprire con le sue torri d’ebano tutto il pianeta. Il suo nome, Darkhold, è pronunciato con timore persino tra i pianeti dell’oscurità: gli orrori che avvengono all’interno farebbero impazzire anche l’uomo più coraggioso o più sano di mente. Essendo un castello praticamente senza confini, è diviso in tanti settori, ciascuno con un suo ruolo specifico: l’allenamento degli eserciti, la costruzione di astronavi e di robot da combattimento, e le sezioni più temute, riservate alla tortura, ai sacrifici umani o agli esperimenti genetici. A nord, un’enorme torre svetta alta, superando tutte le altre, quasi come a sfidare il cielo, simile alla torre che una volta costruirono e chiamarono Babele. Nei piani più alti risiede la stanza del trono, dove, al centro di scuri drappeggi, illuminati da una fila di bracieri ardenti, risiede l’essere senza nome e senza volto che comanda tutta l’Ombra. Una volta aveva un nome e un volto, ma è stato dimenticato da secoli: viene chiamato Oscuro perché la luce non si riflette su di lui. Il nero del suo corpo è interrotto solo da due fiamme ardenti, che dovrebbero corrispondere agli occhi.
In questo momento è felice, perché è arrivato il momento che aspettava da tanto tempo. Ormai il suo obiettivo è vicino. All’improvviso, sente qualcosa accanto a lui e parla con voce cupa:
“Chi è?”
Una figura femminile e slanciata si mostra davanti al trono, illuminata dalle luci cangianti dei bracieri.
“Sono Jezabel, mio signore. Volevo dirvi che lui è arrivato.”
“Garuda?”
Jezabel risponde, facendo fatica a nascondere il suo disappunto.
“Sì, Oscuro.”
“Fallo entrare.”
Garuda, uno dei sei generali dell’oscurità, si fa avanti, camminando dritto in modo arrogante e inginocchiandosi davanti all’Oscuro con aria quasi beffarda.
“Ti saluto, o Oscuro.”
Un’armatura estremamente elaborata lo avvolge, lanciando riflessi che variano ad ogni suo movimento. I suoi capelli neri rivaleggiano con lo scuro dei suoi occhi. Si alza con calma, tenendo una mano sull’elsa della spada e l’altra a reggere l’elmo. Il suo mantello si agita leggermente.
“In che modo posso servire il mio signore?”
Nonostante la frase ossequiosa, il sorriso di Garuda mentre la pronuncia fa nutrire dei seri dubbi sulla sua sincerità.
Jezabel non riesce più a trattenersi:
“Cosa sono queste insolenze, Garuda? Ricorda a chi stai parlando!”
E l’aria intorno a Jezabel comincia a crepitare, mentre i suoi occhi fiammeggiano d’ira.
Anche l’aria attorno a Garuda assume un aspetto anomalo, quasi brillante.
“Di che stai parlando, Jezabel? Ho solo fatto i miei omaggi!” risponde Garuda, senza smettere di sorridere.
L’ira di Jezabel cresce, ma nello stesso tempo, dentro di sé prova timore. Garuda ha una potenza che – forse – rivaleggia con quella dell’Oscuro, e Jezabel, pur essendo la più forte dei generali dell’oscurità, sa che rischia molto ad affrontarlo. Ma non può più tirarsi indietro.
“Basta!” tuona all’improvviso l’Oscuro, alzando imperiosamente la mano, ed entrambi si fermano, forse con sollievo. “Non siamo qui per litigare. Garuda, ti ho chiamato perché voglio che tu ti occupi di Fleed.”
“Io in persona dovrei occuparmi di quel pianeta insignificante? Mi sembra uno spreco di forze, quasi un’offesa. Abbiamo conquistato mondi e imperi ben più vasti!”
“In effetti è un pianeta da niente, ma fondamentale per i miei piani. Dovresti sapere che lì vive quel re che ha provocato la caduta dell’Impero di Vega.”
“Ne ho sentito parlare. Un impero piuttosto scarso. Non le sembra sproporzionato mandare me e il mio esercito contro quel pianeta? Come mandare un elefante contro una formica.”
“E chi ti ha detto di farlo di persona? No, voglio che tu mandi una tua bestia dell’abisso. Almeno per rispetto di quel re, e della sua arma famosa…”
“Il robot Goldrake?”
“Proprio lui.”
Garuda si pone la mano sul mento, riflettendo.
“Non so se è all’altezza di una bestia dell’abisso, ma si può fare. La manderò oggi stesso.”
“Puoi andare, allora.”
Garuda si volta in modo insolente e se ne va, seguito dallo sguardo furioso di Jezabel.
Una volta uscito, Jezabel si rivolge all’Oscuro:
“Mio signore, perché permettete che Garuda non vi rispetti? Va bene che si dice che sia forte quasi come voi, ma…”
“Lascia che lo credano, Jezabel.” Risponde l’Oscuro, con un sorriso impossibile da notare in quell’essere nero.
“Eh?”
“Garuda mi serve così, al pieno delle forze. Quindi, lascia che si illuda. Quando non mi sarà più utile, lo eliminerò.”
“Però…”
“Non starci a pensare, Jezabel. Garuda ha come obiettivo soltanto il dominio e il potere. Le stesse cose che desideravo io, un tempo.”
“E adesso, cosa desidera, mio signore?”
“Una nuova creazione, Jezabel. Tutto il creato fatto a mia immagine e somiglianza. E siamo molto vicini a questo risultato.”
Lei non sa cosa rispondere: è la prima volta che sente l’Oscuro parlare in modo così esplicito.
“Jezabel, ora Garuda farà la sua parte. Al momento opportuno, sai cosa devi fare.”
“Certo, Oscuro.”
E Jezabel sorride.

Il professor Procton si accende la pipa e soffia uno sbuffo di fumo. E’ l’unico modo che conosce per calmare il suo nervosismo. Sono due giorni di fila che cerca di contattare Fleed senza il minimo risultato. Da quando Alcor e Maria erano venuti al Centro di Ricerche in piena notte, estremamente preoccupati, perché pensavano che Actarus fosse in pericolo, Procton aveva ordinato ad Hayashi di contattare Actarus e Venusia su Fleed, senza alcuna risposta.
Ed avevano avuto l’ultimo contatto proprio il giorno prima! Che diamine sta succedendo? Interferenze magnetiche? Può darsi.
Ma il tono preoccupato di Maria lo inquieta: il suo legame mentale con Actarus è molto solido, nonostante l’immensa distanza che li separa, e lei non si agita senza motivo. Francamente, Procton non sa che fare. Fleed è troppo lontano, e i teletrasportatori di cui aveva parlato Actarus una volta erano difficili da installare; inoltre, erano ancora a livello sperimentale.
Procton inspira un altro po’ di fumo dalla pipa, guardando dalla finestra il sole che tramonta. Vuole bene ad Actarus come a un figlio, e aveva sofferto molto per lui durante la terribile guerra contro Vega. Ogni volta che Actarus partiva per una missione, poteva essere l’ultima. Certo, era lo stesso anche per gli altri, e Procton era giustamente preoccupato anche per loro. Ma con Actarus c’era un legame speciale, un’intesa unica: gli aveva insegnato le basi della lingua e della cultura terrestre, gli aveva dato protezione e sostegno. Non ha parenti, Procton, se non qualche lontano cugino con cui ha perso i contatti. Il suo lavoro l’aveva talmente coinvolto che non era mai riuscito a trovare il tempo per pensare di farsi una famiglia. E da quella sera che aveva trovato Actarus moribondo sul ciglio della strada e l’aveva portato a casa sua, aveva capito di aver trovato una famiglia. Le solitudini di entrambi – Actarus e Procton – si erano colmate a vicenda, con una corrispondenza inaspettata.
E adesso ritrova ancora quel senso di paura nel cuore che sperava di non avvertire più: paura per un figlio in pericolo e la propria impossibilità ad aiutarlo.

Il Gran Visir, stringendo il bastone, osserva con preoccupazione gli uomini che lavorano alla consolle di comando. Anche se è anziano, riesce a dirigere i problemi del regno di Fleed con un vigore e un’energia che sorprenderebbero i più giovani. Generalmente, però, erano problemi di natura diplomatica o di amministrazione: davanti a questo, invece, si sente impotente.
Un messaggero gli si avvicina, e il Gran Visir, senza voltarsi, sa già chi è e che cosa vuole. Più volte si è ripetuta questa scena.
“Onorevole Gran Visir, sua maestà il re vorrebbe sapere se le comunicazioni con la Terra sono state ripristinate”
Il Gran Visir emette un sospiro e si liscia la lunga barba bianca: non ha mai visto il re Duke così preoccupato fino ad essere assillante. Chiaramente, contattare la Terra dev’essere di importanza eccezionale, vista l’insistenza del re. Ma un re non si può mandare al diavolo: bisogna trovare le parole giuste per tranquillizzarlo, anche se sa che ogni risposta sarà insoddisfacente.
“Purtroppo non ci sono novità. I tecnici stanno lavorando, ma secondo me non c’è nessun guasto. Ci sono interferenze esterne. Non so se siano casuali o volute. Dì al re che, se possibile, vorrei parlargli.”
Il messaggero annuisce e si allontana. C’è qualcosa sotto, pensa il Gran Visir. Ogni incontro con gli ambasciatori è stato annullato, e l’hangar e la rampa di lancio di Goldrake sono stati collaudati, insieme al potente robot. E il re non è tipo da preoccuparsi per un nonnulla. No, devo assolutamente parlargli. Non credo affatto che queste “interferenze esterne” siano casuali…

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Edited by joe 7 - 10/6/2014, 16:25
 
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Ill.mo Fil. della Girella

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La cena era stata meravigliosa.
Il cibo di Fleed ha delle somiglianze incredibili con quello della Terra, pensa Venusia. Actarus fa un cenno per chiamare il cameriere: è il momento di portare via i piatti. Hanno parlato di tante cose: i loro ricordi della vita sulla Terra, il figlio appena nato, le piante del giardino che Venusia cura amorevolmente. Di solito, a tavola, evitano di parlare di argomenti gravi, per poter passare un momento sereno in mezzo alle fatiche della giornata. Ma in genere lo fanno dopo mangiato, e solo se necessario: e di argomenti gravi ce ne sono purtroppo in abbondanza. Questa misteriosa “grande ombra”, l’assenza di comunicazioni con la Terra, la sensazione di un’imminente minaccia. Per tranquillizzarsi un po’, Venusia vuole parlarne adesso con Actarus. Ma, inaspettatamente, quando i camerieri si sono allontanati, Actarus si alza da tavola e cammina verso di lei.
“Hai mangiato bene, Venusia?” dice Actarus, mettendosi alle spalle di Venusia, che era rimasta seduta.
“Bè, sì, Actarus” risponde lei, un po’ sorpresa dal suo comportamento. “Vuoi dirmi qualcosa?”
Actarus mette le mani sulle spalle di Venusia.
“So che sei in pensiero per queste cose che ci stanno accadendo. Ma c’è sempre speranza: stanno lavorando in continuazione per ripristinare i contatti con la Terra e quella “cosa” nello spazio è tenuta sotto osservazione. Goldrake è al massimo della potenza, per ogni evenienza. Solo, mi spiace dirti queste cose proprio oggi.”
“Cosa intendi dire?” risponde l'altra, voltandosi verso di lui. Avviene in un attimo: come dal niente, una collana di diamanti le appare davanti al petto.
“Buon compleanno, Venusia.”
Lei arrossisce, turbata. Era così preoccupata che si era dimenticata del suo compleanno! Abbassando gli occhi per l’imbarazzo, osserva la collana, sollevandola con una mano. E’ una meraviglia, con dei gioielli così brillanti a formare un semicerchio sul petto e incastonati in una nera ossidiana di Fleed, molto preziosa.
“Actarus, non dovevi…insomma, è troppo…cioè, ti ringrazio, ma è troppo bella…”
“Neanche la metà di te” risponde Actarus, guardandola negli occhi sorridendo.
Il bacio avviene istantaneo e naturale. Una volta staccati, Actarus porge la mano a Venusia.
“Le sorprese non sono finite. Sua Altezza la Regina mi vuole seguire?” dice con un inchino.
“Smettila di prendermi in giro, Actarus! Cos’hai combinato stavolta?” risponde lei, cercando di essere seria, ma non riesce a non sorridere.
Actarus è felice: almeno ora Venusia ha dimenticato la situazione ed è tornata a sorridere di cuore. Sa che ha sofferto molto dentro di sé per via del senso di minaccia e di oppressione che davano l’”ombra” e l’assenza di rapporti con la Terra, senza mai farlo vedere. Ma Actarus conosce Venusia, e sa bene quello che prova.
Il re e la regina camminano l’uno di fianco all’altra fino a raggiungere l’accesso verso la sala del trono. I soldati della guardia reale si fanno da parte, esponendo le spade inguainate e mettendole ritte sul pavimento in segno di saluto. Davanti al portone, un uomo dalla corporatura agile e potente li saluta con riverenza: è Amauta, il capitano della guardia reale.
“Vi saluto, Maestà” dice Amauta, inginocchiandosi.
Actarus gli fa cenno di alzarsi e gli mette una mano sulla spalla.
“Sono contento di vedere che sei sempre in forma, Amauta”
Il capitano Amauta è una leggenda su Fleed: ai tempi dell’invasione di Vega, faceva parte di una banda di ribelli che, con tattiche di guerriglia, assediavano gli avamposti di Vega sparsi su Fleed, ed era il terrore dei comandanti veghiani. Non solo ha capacità tattiche e strategiche invidiabili, ma pure un fisico temprato unito ad un’abilità eccezionale della spada: la sua tecnica Kasumigiri troncherebbe di netto una colonna di marmo come fosse aria.
Actarus e Amauta si conoscono e si stimano a vicenda, sapendo bene ciascuno quanto ha sofferto – e combattuto – l’altro. Più che ad un incontro tra un re e un capitano della guardia reale, sembra di assistere ad un incontro tra due ex-commilitoni. Venusia aveva visto l’abilità della tecnica della spada di Amauta ed era rimasta impressionata. Vederlo insieme ai soldati della guardia reale la fa sentire più tranquilla.
“Volete entrare nella stanza del trono, maestà?” chiede il capitano.
Actarus annuisce, e, ad un cenno di Amauta l’enorme portone di marmo si apre cigolando. Una volta entrati, il portone si chiude alle spalle di Actarus e Venusia.
La stanza del trono fa un certo effetto, così deserta. Venusia si guarda intorno: anche se ormai sono anni che è regina, fa ancora fatica a credere che è lei a sedersi su quel trono. In fondo, si sente ancora come una che lavora al ranch: aveva sognato più volte di essere ancora lì a badare ai cavalli o a mungere le mucche. E le capita di svegliarsi di soprassalto, quando questi sogni sono particolarmente intensi, sentendo talvolta persino il profumo del fieno e dell’erba. Alzando gli occhi, osserva il simbolo reale di Fleed: la stella a otto punte, in mezzo ai due troni.
“Stai osservando il simbolo reale?”dice Actarus, facendo distogliere Venusia dalle sue fantasie.
“Ah…sì, Actarus, lo stavo guardando senza un motivo particolare.”
“Se ti interessa, in questa bacheca attaccata al muro c’è una copia esatta della stella: è fatta di gren, lo stesso materiale di Goldrake.”
“Ah, sì?” dice Venusia, osservando con attenzione l’oggetto. “E’ molto duro il gren?”
“Praticamente, è uno dei metalli più resistenti dell’universo.”
“Ma il King-Goli aveva strappato il braccio a Goldrake, quella volta.”
“Certo. Quel mostro era il risultato di anni di sperimentazioni di Vega sul gren. In condizioni eccezionali, si può spezzare. Ma è molto, molto difficile: non è un caso che ci sia riuscito solo quel mostro e nessun altro, né prima né dopo.”
Venusia osserva la stella: non è molto grande, si potrebbe tenere in mano. E Goldrake è fatto di quel materiale lì. Fa una certa impressione saperlo, pensa lei.
“Comunque, non siamo qui per questo, Venusia. Ecco cosa volevo farti vedere.”
Actarus, spostando una tenda, mostra un grande macchinario, simile a un’enorme porta, con uno spazio vuoto in mezzo. Venusia non capisce.
“Che cos’è quella cosa, Actarus?”
“Il mio regalo di compleanno: sono sicuro che ti piacerà di più della collana.” risponde Actarus, con un’aria misteriosa.
Venusia non sta più nella pelle dalla curiosità.
“E dimmi una buona volta che cos’è! Lo sai che di macchine non ci capisco niente!”
“Visto come guidavi il Delfino Spaziale, ho i miei dubbi. A ogni modo, questo è un teletrasportatore: con questo è possibile trasferirsi da Fleed alla Terra e viceversa in un attimo.”
“Cosa?” Venusia non crede alle sue orecchie.
“Proprio così.” risponde Actarus.
“Ma…avevi detto che non è possibile comunicare con la Terra adesso!”
Il volto di Actarus si rabbuia un poco.
“Purtroppo è vero, e di conseguenza nemmeno il teletrasportatore funziona: l’avevamo già provato. Ma il giorno prima che si interrompessero le comunicazioni, funzionava benissimo. Si potevano mandare oggetti e animali senza problemi. Bisognava ancora sperimentarlo per le persone, ma eravamo a buon punto. Non te ne avevo parlato prima, perché volevo esserne sicuro. Ma quando questa storia sarà finita, potrai andare sulla Terra e tornare come attraverso una porta. E una volta installato un altro teletrasportatore anche sulla Terra, pure i nostri amici potranno fare lo stesso.”
Venusia, ancora incredula per quello che ha sentito, si avvicina alla macchina, toccandola con cautela.
“Stai tranquilla, è spenta.” dice Actarus con un sorriso.
“Bè…meno male, non vorrei combinare qualcosa.”
“L’energia del teletrasportatore è molto grande, infatti: bisognerà usarlo con attenzione. Ma non preoccuparti, l’utilizzo è molto semplice e sicuro. Perché avvenga un pasticcio, devi proprio andarlo a cercare. Un po’ come i fili elettrici della luce.”
“Chiaro.” risponde Venusia e, voltandosi verso Actarus, aggiunge: “Caspita, Actarus, è un regalo bellissimo…non vedo l’ora di provarlo, appena possibile!” e abbraccia il re di Fleed euforica. “Sapessi quante volte ho avuto nostalgia del ranch di mio padre, di quelle sere d’estate…”
“Lo so, Venusia.” dice Actarus abbracciandola.
“Sai” dice Venusia, guardandola negli occhi “in questi anni ho cominciato a capire la nostalgia che avevi tu quando stavi in mezzo a noi sulla Terra.”
Actarus non risponde subito. Accarezzando Venusia, risponde:
“Sì, e la cosa strana è che a volte provo nostalgia della Terra persino io che ora sono a casa mia. E’ destino per me essere un nostalgico!” conclude con una risata.
Venusia stringe più forte Actarus e ad un certo punto dice:
“Però vorrei farti anch’io un regalo, Actarus.”
“Sì? E quale sarebbe?”
“Un fratellino o una sorellina per Rex.”
“Eh?” Actarus arrossisce di colpo.
“Già” aggiunge Venusia con un sorriso malizioso, accarezzando Actarus al volto “Povero bambino, tutto solo…non pensi che abbia bisogno di qualcuno come lui che gli stia vicino?”
“Ehm…ma per fare un bambino bisogna essere in due.”
“Davvero? Non lo sapevo, sai.” risponde Venusia facendo gli occhi della finta tonta. “E’ un argomento che conosco così poco. Su, andiamo a dormire, così intanto me lo spieghi.”
Decisamente, la Venusia di un tempo non mi avrebbe mai parlato così…pensa Actarus, accompagnando sottobraccio Venusia con un’aria falsamente rassegnata.

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Tra i sette pianeti dell’Oscurità, quello che si avvicina di più come aspetto all’Acheronte, dove risiede l’Oscuro, è lo Stige. Dall’astronave di ritorno, Garuda osserva con soddisfazione quel pianeta: è il centro del suo impero. Da lassù può contemplare lo Stige come se potesse tenerlo in mano. Un regime di terrore sottomette le varie razze di quel mondo, che vivevano in pace prima di essere invase da Garuda e dall’Ombra.
Al generale dell’oscurità quel mondo era piaciuto sin dalla prima volta che l’aveva visto: aveva deciso che sarebbe stato la base del suo futuro impero. Un impero basato sulla paura e sul terrore garantiva fedeltà assoluta, e il pianeta capitale doveva dare il buon esempio di sottomissione. Da lì, il suo dominio aveva allargato i confini ben oltre l’Ombra: ma la sua brama di potere non è mai sazia, anzi aumenta ad ogni successo, ad ogni conquista.
Un giorno verrà in cui io e l’Oscuro ci affronteremo. Non vedo l’ora che arrivi: alla fine, anche il castello di Darkhold sarà mio. Che soddisfazione poi vedere la faccia di Jezabel…ma non devo dimenticare gli altri generali.
Ogni volta che incontra l’Oscuro, il desiderio di sfidarlo si fa sempre più forte: ma deve trattenersi, non è ancora il momento.
Mentre medita su questi argomenti e altri simili, l’astronave atterra sul torrione più alto del suo castello. I servi sulla vedetta si avvicinano subito a Garuda, salutandolo ossequiosamente, tremando dentro di sé nel timore di dire una sola parola o gesto fuori posto che possa infuriare il loro signore. Diversi uomini sono morti di sua mano per un errore simile, e per questo i servi sono più vigili che mai. Uno di loro gli toglie il mantello, mentre Garuda consegna il suo elmo ad un altro, scendendo lungo le scale che portano alla corte interna, dove è presente la sala del trono. Una volta seduto sullo scranno, un’ancella gli porge una coppa nella quale versa il vino. Garuda beve in silenzio, poi chiama il maggiordomo di corte, il sovrintendente più importante del castello.
“Boris!”
“Sì, mio signore?”
“Chiama Myrain.”
“Sarà fatto, mio signore!”
Boris si allontana rapidamente.
Intanto, Garuda riflette. Una bestia dell’abisso, ha detto l’Oscuro. Strano: normalmente, per un’invasione, si fa un bombardamento a tappeto e si fanno avanzare le truppe. Le bestie dell’abisso servono solo quando si incontrano resistenze molto grandi, che di solito dopo il loro intervento non sono più tali. Chissà cos’ha in mente. Comunque, sono curioso di vedere quanto sia forte questo Goldrake…
Tra tutti i sei generali dell’oscurità, solo Garuda può mandare le bestie dell’abisso, esseri infernali che vivono in un’altra dimensione ignota. Ma non può farlo da solo: simili bestie devono essere richiamate dalla loro dimensione, e per questo è necessaria un’ evocatrice. In tutto l’universo, le evocatrici sono rare: incontrarne una è quasi un miracolo. Ma Garuda l’aveva trovata, tra il popolo degli elfi: la bionda Myrain. Gli elfi sono una delle tante razze che vivono nello Stige (ovviamente, il pianeta non si chiamava così allora: ma il suo nome originale è stato dimenticato). Se gli elfi e le altre razze non sono sotto un regime fin troppo disumano, questo è dovuto proprio grazie ai servigi di Myrain: un’evocatrice è molto preziosa per Garuda.
Ad un tratto, in fondo alla sala del trono c’è un brusio: Myrain sta arrivando. La sua bellezza fa sempre attirare gli sguardi di tutti. L’elfa compare all’ingresso, camminando con grazia e mostrando l’aspetto diafano caratteristico della sua gente. I suoi vestiti ondeggiano insieme ai suoi movimenti, e i capelli biondi si muovono ad ogni passo. Il suo viso regolare, con gli occhi di un azzurro intenso, insieme con le orecchie a punta, attira sempre l’attenzione – e l’ammirazione – degli osservatori.
Myrain si ferma di fronte al trono e si inginocchia davanti a Garuda, dicendo con una voce che sembra quasi un canto:
“Mi avete chiamato, o mio signore?”
Persino Garuda rimane perplesso per un momento prima di parlare. Ogni volta che vede Myrain, ne rimane stupito come se fosse la prima.
“Sì, Myrain” replica Garuda, scuotendosi e tornando in sé “ti ho chiamato per evocare una bestia dell’abisso. Voglio Kandura.”
Myrain sa a cosa servirà quel mostro, ma non ha scelta: se non lo evoca, la sua stirpe sarà sterminata, insieme alle altre: ben pochi sopravviverebbero alla furia del generale. E ogni volta che fa un’evocazione, si sente morire dentro, perché sa che sceglie la distruzione di un popolo per la salvezza del suo. E ogni volta si chiede se fa la cosa migliore. Nonostante questo, risponde:
“Sarà fatto, mio signore.”
Detto questo, Myrain si alza e si allontana, sotto gli sguardi di tutti. Nient’altro è stato detto da lei, come sempre: e Garuda non vuole darlo a vedere, ma è infastidito. Sa che tutti hanno paura di lui e tremano ad un suo cenno: Myrain no, non trema. Certo lo rispetta, ma non lo teme. E questo Garuda lo sente come un limite al suo potere, ma non sa come rimediare.
Myrain sale lungo le scale del castello, raggiungendo un ampio spiazzo all’aperto su una torre. Nessuno la accompagna: l’evocazione dev’essere fatta solo dall’evocatrice e, se un altro fosse presente, perderebbe la vita e forse anche l’anima. Con un gesso, l’elfa traccia dei simboli sul pavimento di pietra, ponendosi poi al centro di essi. Sta in piedi, immobile e concentrata, a mani giunte e ad occhi chiusi per un certo tempo. Poi, all’improvviso, batte due volte le mani ed inizia a danzare. Una danza armonica, dove i drappi dei vestiti danno alla sua figura l’impressione di camminare sull’aria. Durante questa danza, si sente un suono, che però non proviene dalla bocca di Myrain: e il suono diventa una musica che si fa sempre più forte e ritmata, fino a diventare tutt’uno con l’elfa. Il respiro di Myrain diventa affannoso: l’evocazione è impegnativa, soprattutto quella di una bestia dell’abisso.
Ad un tratto, qualcosa compare a mezz’aria: un disco piatto, composto di luce, che si muove. Myrain si ferma: l’evocazione è stata compiuta. Dal disco pian piano compare un gigantesco mostro, dalle enormi braccia e i denti come quelli di uno squalo, senza nessuna traccia di collo tra la testa e il tronco. E’ Kandura, uno dei più potenti mostri dell’abisso.
Myrain si accascia per terra sulle ginocchia, sfinita, mentre Kandura urla con voce di tuono, spaventando tutti coloro che vivono nel castello. Anche Garuda sente l’urlo, ed è soddisfatto: l’evocazione è riuscita. Con un gesto, scompare per poi apparire sulla torre, davanti al mostro.
“Kandura, ti ordino di andare su Fleed. Devi devastare tutto ciò che vedi.”
La bestia dell’abisso, urlando, alza un pugno per schiacciare il piccolo essere arrogante che parla davanti a lui: ma Garuda blocca il colpo con una mano sola, senza sforzo.
“Hai una grande forza, ma non è contro di me che devi usarla. E ora parti!” conclude urlando.
Kandura, impressionato, si allontana salendo in aria verso Fleed.
Garuda osserva il mostro fino a quando scompare all’orizzonte. Poi si volta e nota Myrain che si è appena rialzata: si inchina verso di lui e si allontana in silenzio. Garuda rimane perplesso. Senza nemmeno rendersi conto di ciò che sta facendo, alza una mano, come per chiamarla, ma poi si ferma. Si volta e appoggia il piede su un merlo della torre, guardando il panorama. Tutto quello che vede è suo, lo sa bene. Tuttavia, si guarda intorno a sé, e vede che non c’è nessuno accanto a lui. D’un tratto, si sente stranamente solo.

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Actarus raccoglie il fieno alla Betulla Bianca: è stata una bella giornata, Vega non ha attaccato e persino Rigel non ha brontolato molto. Spera che questo possa durare per sempre, ma sa che è impossibile. Come per confermare i suoi timori, subito sente ticchettare l’orologio. Il professor Procton lo sta chiamando:
“Actarus, l’Ombra sta attaccando!”
“Cosa? Intendi dire Vega, padre?”
“No, no…l’Ombra!”
Il ticchettare diventa più forte, sempre più forte, fino a quando Actarus si sveglia e si guarda intorno. E’ a letto, accanto a Venusia che dorme, e sente ancora quel rumore. Capisce che è l’intercom: il Gran Visir lo sta chiamando. Apre rapidamente il contatto.
“Cosa succede?”
“Maestà, i satelliti orbitali hanno individuato qualcosa di grande puntare verso di noi!”
Actarus ora è completamente sveglio.
“Dove si sta dirigendo?”
“Verso est, a circa cento chilometri da qui. Dovrebbe atterrare tra venti minuti.”
“Azionate subito le batterie di contraerea! Partirò adesso con Goldrake!”
Actarus spegne l’intercom e si alza, cambiandosi in fretta. Venusia si è svegliata e ha capito tutto. Si copre col lenzuolo e si alza stando in ginocchio sul letto.
“Devi andare, vero?” dice con un po’ di timore. Poi si fa coraggio e cerca di sorridere. “Sistemali alla svelta e torna presto!”
Actarus sorride a sua volta, per tranquillizzarla. Baciandola, sussurra:
”Non dubitare!”
Prima di uscire, si ferma esitante, si volta verso Venusia e le dice:
”Ti amo.”
“Anch’io.”
Un ultimo saluto ed è scomparso. Venusia rimane ferma sul letto, senza muoversi. Non vuole ammetterlo, ma ha un brutto presentimento. Quello di aver visto Actarus per l’ultima volta.

Actarus corre, come faceva un tempo, verso l’hangar di Goldrake. Il suo fisico allenato risponde come allora. Si tuffa nello sportello e parte su un sedile mobile che scorre velocissimo lungo il tunnel di metallo. Ecco l’uscita, dove Actarus si trova sospeso a mezz’aria in un hangar immenso, dove si fa fatica ad identificare le pareti. Mentre il sedile mobile rientra per un’altra strada, Actarus grida quello che sperava di non gridare mai più:
“GOOOOOLDREEEEIIIKKKK!”
La sua figura è avvolta da un lampo, dopodichè i vestiti che portava sono stati sostituiti con una tuta aderente e un elmo dorato. Più che cadere, plana dritto sul sedile di avviamento del potente robot. Un bottone premuto, e subito cala il parabrezza. La mano destra di Actarus afferra la leva di partenza: senza esitare, la tira verso di sé gridando:
“Goldrake, avanti!”
Il robot, insieme al disco spaziale, ha una leggera vibrazione, come se si svegliasse da un lungo sonno. Gli occhi di Goldrake, prima spenti, si accendono pieni di vita, come se mostrassero un desiderio di combattere a lungo represso. Il disco spaziale, insieme a Goldrake, scorre lungo la rampa con una rapidità inconsueta, quasi bramando di uscire. L’enorme sportello si apre, mostrando l’acqua della cascata che scorre proprio davanti all’uscita. Goldrake esce in un attimo, lanciando spruzzi d’acqua che brillano nel sole mattutino.

Le batterie di contraerea sparano in continuazione contro l’essere che sta arrivando su Fleed, senza alcun risultato. Sono spazzate via in un attimo da una luce bianca che esce dagli occhi del mostro.
Kandura arriva.
Il suo atterraggio provoca una scossa tale da spaventare a decine di chilometri gli ignari abitanti di Fleed, già preoccupati per il rumore dei cannoni, che non si sentivano più sin dalla terribile invasione di Vega.
Kandura arriva.
Ogni suo passo fa tremare la terra, e i soldati scappano il più lontano possibile. Insieme a un urlo spaventoso, la luce bianca di Kandura copre le alture e il bosco davanti a lui, provocando il prosciugamento delle acque e l’avvizzimento di tutti gli alberi. In poco tempo, attorno a lui c’è il deserto.
All’improvviso, un punto brilla nel cielo: Goldrake è apparso. Actarus guarda sconvolto la devastazione che ha provocato il mostro. In pochi attimi ha trasformato il bosco e le colline in una landa desolata.
Non deve assolutamente arrivare alla capitale, ad ogni costo! pensa Actarus.
E’ la prima volta da molto tempo che combatte senza i suoi compagni: Alcor, Maria, Venusia, Procton…per un attimo, sente acutamente la loro mancanza. Solo adesso comprende bene quanto sia stato prezioso il loro aiuto. Ma non c’è tempo per pensare a questo: solo Goldrake sta tra il mostro e Venusia…e il piccolo Rex. E quell’essere è grande almeno cinque volte Goldrake.
“Comunque sia” sibila Actarus con voce dura “ti assicuro che tu di qua non passi!”
E, quasi senza accorgersene, ha già cominciato ad attaccare:
”Tuono Spaziale!”
Le corna di Goldrake, ancora fisso sul disco, crepitano di energia, caricandosi al massimo: Actarus vuole usare subito l’arma più potente del robot. Un lampo accecante esce dalle corna e invade tutto il mostro, che lancia un urlo di sorpresa. Ma resta illeso.
“Ha resistito a più di un miliardo di volt!” Actarus quasi non ci crede. Ma reagisce subito: Goldrake muove le braccia, mettendole davanti a sé:
”Disintegratori Paralleli!”
Tre raggi laser ad altissima potenza scattano da ogni dorso delle mani del robot, colpendo in volto Kandura. Nello stesso tempo, Actarus grida:
“Doppio Maglio Perforante!”
Continuando ad emettere i laser, le mani, insieme all’avambraccio, si staccano dal robot e le lame appoggiate su di esse si piegano in avanti, girando ad una velocità impressionante. L’impatto col laser e le lame rotanti è terribile: Kandura urlando si copre il volto con le mani e per un momento barcolla. Ma, anche se ferito, si raddrizza all’istante e alza un enorme pugno contro l’insetto che lo molesta. La velocità della bestia è superiore a quanto si penserebbe, vista la sua mole. Il disco spaziale evita il colpo per un soffio, mentre i magli perforanti si riattaccano al robot. Actarus guida il disco spaziale verso l’alto, in una cabrata rapidissima. Il mostro è stato ferito, anche se leggermente. Ma, guardando con attenzione, Actarus manda un’esclamazione di sconcerto.
Le ferite che la bestia ha ricevuto si rimarginano rapidamente. Ma non è solo quello che fa spaventare Actarus: sulla terraferma sono comparsi all’improvviso due ragazzi.
Cosa diamine fanno lì? Avevo dato l’ordine di sgomberare la zona! pensa Actarus con rabbia.
Il problema era che li aveva visti anche Kandura. Senza nemmeno pensarci, Actarus tira la leva in alto, scendendo in basso insieme al sedile e raggiungendo i comandi del robot gigante, dopo aver fatto la giravolta per lo sblocco.
“Goldrake, azione!”
All’istante il robot esce a mezz’aria, mentre Kandura si dirige verso i due ragazzi. Ma nello stesso tempo Goldrake, mentre scende a terra, lancia il tuono spaziale che blocca per un attimo il mostro. Goldrake atterra in piedi con gran fragore, continuando a lanciare il tuono spaziale e facendo da scudo ai due ragazzi. Kandura grida alzando le mani e avanzando contro Goldrake.
“Alabarda Spaziale!”
Le lame escono dalle spalle di Goldrake, insieme alle aste, che si collegano tra loro. Goldrake aspetta il mostro, mentre i ragazzi, terrorizzati, non riescono neanche a muoversi. Il gigantesco piede di Kandura si abbatte contro il robot-samurai, con una spaventosa pressione di centinaia di tonnellate. Tenendo davanti l’alabarda con le due mani, in alto, Goldrake resiste, facendo stupire il mostro, che aumenta la spinta. Anche se Goldrake è fatto di gren e quindi può resistere all’attacco di Kandura, i suoi circuiti interni non lo sono, e gemono per il terribile sforzo a cui sono sottoposti. Actarus guarda preoccupato gli indicatori, tutti sotto il rosso: non si può escludere un’esplosione interna. Ma non può spostarsi da lì, o i ragazzi moriranno. Sudando, Actarus sente vicina la morte.



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Davanti al cancello del palazzo reale, le guardie sono in pensiero: ormai tutti sanno che, per la prima volta da anni, il re è partito in battaglia con Goldrake, la loro arma finale. Non è un buon segno: l’invasione di Vega era cominciata così. Comunque, sono tutti sicuri della vittoria del loro sovrano: Goldrake è considerato l’invincibile per eccellenza dai Fleediani, dopo il suo trionfo contro Vega.
All’improvviso, vedono una figura che cammina verso di loro. Tenendosi all’erta, la osservano con attenzione. E’ una donna, piuttosto bella, anche se ha qualcosa di inquietante. Forse quei capelli neri un po’ troppo lunghi che si muovono con aria innaturale, quasi serpentina. Forse quella strana armatura nera e brillante che porta addosso. Ma, forse, soprattutto i suoi occhi: freddi e glaciali e allo stesso tempo stranamente attraenti. Lei avanza verso di loro con incredibile sicurezza, fermandosi a poca distanza e fissandoli in volto. Le guardie sono sbigottite e perplesse. Dopo un attimo di silenzio, la donna parla, con una voce ferma e abituata al comando:
“Fatemi entrare. Adesso.”
Ancora più sorpresi, non sanno cosa dire, e uno di loro alla fine parla:
“Mi spiace, ma questo è il palazzo reale. Solo chi è invitato può…”
Non riesce a finire la frase: con una rapidità incredibile, lei gli stringe la gola con una mano, sollevandolo da terra senza sforzo e sbattendolo contro il cancello, che trema per l’impatto.
“Sono Jezabel, luogotenente dell’Oscuro. Nessuno può dirmi di no!”
Gli altri reagiscono mettendo mano alle loro alabarde, puntandole verso la donna misteriosa.
“Mettilo giù!” gridano.
Ma Jezabel non li ascolta nemmeno: con la mano libera, colpisce con violenza le porte del cancello, che si aprono con un rimbombo. Lascia andare la guardia ed entra nel percorso verso il palazzo reale senza più badare a nessuno. Le guardie non credono ai loro occhi: il cancello era stato chiuso con una sbarra d’acciaio temprato e lei l’ha aperto, spezzando la sbarra come fosse un grissino.
Deve avere una forza spaventosa, pensano, mentre la guardia che era stata presa per il collo si massaggia la parte dolente, sentendo ancora su di sé quella terribile morsa.
Passato lo stupore, chiamano via radio la sorveglianza:
”Una pazza è entrata nel castello reale! E’ davanti al portone principale: fermatela con tutti i mezzi. Fate attenzione, è fortissima: se necessario, usate i laser!”
Jezabel avanza con calma, come se non avesse nient’altro da fare. Appena mette piede sul primo gradino dell’ingresso, sente una voce dall’alto delle scale che grida:
“Fermati subito e alza le mani! Altrimenti spariamo!”
Alzando la testa, vede una fila di soldati con in mano dei fucili laser puntati su di lei. Senza rispondere, sale le scale.
“Fermati! E’ l’ultimo avviso!”
Jezabel continua a salire.
“FUOCO!”
I laser crepitano e una fila di linee brillanti rosse e gialle si abbattono sulla figura femminile, che diventa piena di luce bianca per il contatto. Una simile concentrazione di laser avrebbe abbattuto persino venti carri armati fleediani dell’ultima generazione: ma gli uomini, terrorizzati, si accorgono che quell’essere avanza ancora come se i laser fossero stati delle gocce di pioggia. Continuano a sparare, ma è inutile: quella donna è già su di loro e muove un braccio con una rapidità tale che quasi non si vede. Sembra che quel movimento non abbia provocato niente, ma all’improvviso cinque uomini muoiono squarciati senza quasi accorgersene.
I sopravvissuti urlano e si tirano indietro: non osano più sparare, mentre Jezabel si allontana da loro camminando senza degnarli di un minimo di attenzione. Un po’ di sangue sgocciola dalla sua mano.
Il tenente delle guardie, che è con loro, sente le gambe tremargli, ma reagisce con forza e riesce a parlare. Si rivolge all’attendente e dice:
“Chiama subito il capitano Amauta! Quel mostro è entrato nel palazzo reale!”

In quel momento, Venusia, col bambino in braccio, Hadi e alcune altre ancelle stanno dirigendosi verso il giardino, quando sono fermate dal capitano Amauta, che corre verso di loro con aria sconvolta.
“Maestà! Un intruso è entrato nel palazzo e nessuno riesce a fermarlo! Venga con me, presto, devo portarla in un posto sicuro!”
Venusia e le ancelle, spaventate, seguono il capitano senza discutere e arrivano alla sala del trono.
“E’ la zona più protetta del palazzo” spiega Amauta “rifugiatevi tutte qui”
Una volta entrate, Amauta chiude i pesanti portoni della sala del trono, sigillandoli completamente. Poi estrae la spada ed aspetta, insieme ai suoi uomini.

Venusia, nel frattempo, senza parlare, mette suo figlio fra le braccia di Hadi. Prima che l’ancella possa dire qualcosa, Venusia la porta con sé, dicendo:
“Seguitemi, Hadi e tutte voi, presto!”
Si mettono tutte nella sezione della sala che si trova dietro al trono, mentre Venusia si allontana da loro di qualche passo e preme un bottone nascosto in una parete. Una barriera trasparente di energia si frappone tra Venusia e le altre.
“Non muovetevi di lì. Io intanto resto di guardia.”
“Maestà, non faccia pazzie! Venga qui anche lei!” dice Hadi, sconvolta.
“Ti affido Rex, Hadi. Mi raccomando.”
Venusia poi si volta e, stando in piedi, fissa il portone chiuso. Stringe le labbra e serra i denti: oltre alla paura, sente l’ira crescere dentro di sé per quel nemico, chiunque sia, che sta minacciando tutti quanti, suo figlio compreso.
Dovesse costarmi la vita - pensa con rabbia - non deve succedere nulla a Rex!

Il suono dei passi si fa sempre più netto. Amauta e i suoi, sentendola avvicinarsi, serrano la guardia.
“Nessuno si muova!” dice Amauta “Lasciatela a me!”
Jezabel compare. Si ferma un momento, guardandosi intorno, e fissa lo sguardo su Amauta.
“Credo sia meglio che vi facciate da parte.” dice la donna, rivolta verso il capitano.
“Siamo soldati della guardia reale. Non ci è permesso metterci da parte, anche a costo della vita.” risponde lui, avanzando verso Jezabel, mentre la spada che tiene in mano brilla minacciosa.
“Sei accusata di intrusione nel palazzo reale” continua Amauta “e di omicidio di cinque uomini. Se ti arrendi, il giudice sarà clemente con te.”
Jezabel, sorpresa, resta per un momento senza parole.
“Sei divertente. Mi hai quasi fatto ridere. Fatti da parte e non ti succederà niente.”
“No.”
Amauta si mette in posizione: il tempo delle parole è finito. Avverte una grande potenza nella figura che sta di fronte a lui: deve usare la tecnica Kasumigiri senza indugio. All’improvviso, nessuno parla: i due avversari si fissano in silenzio. Tutti intorno stanno fermi senza muoversi: si potrebbe sentir volare una mosca. La tensione è fortissima.
Poi Amauta reagisce: la spada diventa un lampo invisibile ad occhio nudo.
Subito dopo, gli uomini, compreso il capitano, sono rimasti a bocca aperta: Jezabel ha fermato la lama della spada tenendola ferma tra due dita, come se non si fosse mai mossa.
Contemporaneamente allo sguardo sorpreso di Amauta, con un ghigno Jezabel serra più forte le dita, spezzando in due la lama.
Questa volta Amauta non fa in tempo a stupirsi ancora: un terribile calcio in pieno petto lo schianta contro un muro a cinque metri di distanza.
“Capitano Amauta!” gridano tutti.
Ma lui non li sente più: vede ogni cosa come sotto un velo, che diventa più fitto e buio ad ogni momento che passa. Il suo corpo scende fino al pavimento, lasciando una scia di sangue. Sa che sta morendo, ma il suo ultimo pensiero è per la regina.
Mi spiace, Maestà…non sono riuscito a…
Ma non può più continuare. E’ già morto.

Gli uomini della guardia reale non ci credono: il loro eroe, il capitano Amauta, ucciso in un attimo da una sconosciuta. Avevano combattuto insieme con lui contro i Veghiani da una vita, e gli volevano bene come ad un amico, prima ancora che come comandante. Reagiscono tutti con rabbia:
“La pagherai per questo!” gridano, e assalgono Jezabel con le spade. Lei sorride sinistra, simile ad un lupo, mostrando i canini: le dita delle sue mani si affilano come rasoi e colpiscono in profondità. I suoi occhi diventano bianchi, mentre si sente travolgere dalla ferocia che le urla dentro.
La strage dura pochi attimi.

Venusia, dall’altra parte del portone, sente con ansia le grida e i tonfi sordi, poi un irreale silenzio.
Cosa è successo? si chiede.
Poco dopo, un boato fa tremare le pareti della sala: la parte inferiore del portone vola in mille pezzi, e Venusia deve fare attenzione a non essere colpita dai detriti. Alza il braccio istintivamente, coprendosi la faccia: quando poi lo abbassa, vede una figura in mezzo al buco che si è aperto. All’inizio è indistinta per la polvere che si è sollevata, poi diventa più chiara: una donna rivestita da un’armatura, con capelli lunghi e neri, la fissa con uno sguardo malvagio, sorridendo. In quel momento, Venusia capisce che non è rimasto vivo nessuno. Adesso è sola.


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I ragazzi spaventati non riescono a distogliere lo sguardo davanti al terribile spettacolo: due giganti, uno molto più grande dell’altro, si fronteggiano e la loro mole copre il cielo. Uno lo conoscono: è il robot del loro re, il famoso Goldrake, il loro idolo. A casa hanno pupazzetti e disegni su di lui: non avrebbero mai pensato di vederlo di persona, così da vicino, così vivo e mobile, ancora più spettacolare di come immaginavano. Ma la paura che provano contrasta con la gioia di vedere il loro eroe preferito: il gigante nemico è enorme, nemmeno i mostri di Vega erano così grandi. Inoltre, i suoi ruggiti sono a dir poco spaventosi: immobilizzano tutto il corpo dal terrore rendendolo incapace di reagire. Si sono avventurati due ore prima nel bosco, per esplorarlo – anche a distanza di anni dall’invasione di Vega, le zone verdi di Fleed sono ancora poche – e, per il gusto dell’avventura, si erano nascosti quando l’esercito aveva mobilitato l’evacuazione. Non finiscono di pentirsi e di maledirsi per la loro scelta: quel mostro aveva fatto tremare la terra e fatto sparire il bosco insieme ai fiumi davanti a lui. Tutto moriva davanti a quella luce che mandava dagli occhi. Quando era comparso Goldrake, pensavano di essere salvi, e si erano messi a correre. Ma Kandura li aveva visti. Esseri umani. Il suo cibo.

Le braccia di Goldrake tremano sotto lo sforzo: Actarus non riesce ad immaginare quante siano le tonnellate di pressione che quell’abominio sta esercitando su di lui. Il piede di Kandura scende lentamente, pian piano, sempre di più su di lui. Bisogna reagire al più presto: Goldrake non può continuare. Con una rapida mossa, il robot-samurai fa girare le lame dell’alabarda, che penetrano dentro il palmo del piede di Kandura. Subito dopo, lancia il tuono spaziale a tutta potenza dentro la ferita del mostro. Per la seconda volta, Kandura prova dolore: indietreggia, alzando il piede e ponendolo a terra un momento. Ma è più che sufficiente per Goldrake.
“Disco spaziale Atlas, vieni, presto!”
L’UFO di Goldrake scende dall’alto fermandosi rasoterra: il robot-samurai raccoglie i ragazzi con la mano e li mette nella cabina di pilotaggio del disco spaziale.
“Atlas, allontanati!”
E la nave parte, distanziandosi di centinaia di chilometri in pochi istanti. Il comando automatico farà atterrare il disco e aprire il vetro della cabina, permettendo ai ragazzi di scendere e scappare. Goldrake si prepara per la battaglia: ma lo sforzo è stato terribile, e i suoi movimenti sono più affaticati. Actarus se ne rende conto.
Non ho più tempo:Goldrake è stato sottoposto ad una tensione troppo grande. Devo finire questo scontro al più presto.
Kandura per un attimo si ferma: quell’insetto è più resistente di quanto pensava. Alza una mano verso di lui, e da sottoterra spuntano delle radici serpentiformi che avvolgono Goldrake tra le loro spire. Actarus non se l’aspettava: quella mostruosità non solo ha distrutto il bosco, ma ha reso suo servo quello che rimane della desolazione. Le radici morte si moltiplicano in continuazione, mostrando una tenacia e resistenza ben superiore a quella del comune legno. Non è più legno: è qualcosa di non-morto che vive ancora.
Da che razza di inferno è venuto quell’essere demoniaco? - pensa Actarus - Nemmeno nell’esercito di Vega ho visto una tal concentrazione di male allo stato puro.
Muovendosi il più in fretta possibile, Goldrake taglia i tentacoli che lo avvolgono, usando la lama dell’alabarda: ma ogni taglio provoca la fuoriuscita di nuove spire. Il petto di Goldrake si riscalda: il raggio antigravità provoca l’allontanamento delle radici mostruose, almeno davanti a sé. Actarus muove la leva al massimo e il raggio antigravità perde la sua gamma di colori arcobaleno per diventare tutto rosso: un raggio pettorale di spaventosa potenza distruttiva che polverizza all’istante tutte le radici che finiscono sotto la sua azione.
Ma Actarus non può gioire del successo: mentre Goldrake era impegnato a districarsi dalle radici tentacolari, Kandura si è avvicinato a lui e dall’alto alza un terribile pugno che si abbatte come un maglio su Goldrake. Non c’è scelta: o la va o la spacca. Goldrake alza la mano destra per fermare quell’ondata, e l’impatto ha lo stesso rumore del tuono.
Kandura ha gli occhi spalancati dalla sorpresa: Goldrake è rimasto in piedi e gli ha fermato la mano.
Di cos’è fatto quel moscerino, per non frantumarsi ad un impatto simile?
Si ferma esitante: per la prima volta nella sua vita, Kandura è perplesso e non sa come reagire. Intanto, la nave Atlas ritorna da Goldrake, seguendo l’ordine mentale del suo padrone. I ragazzi si sono salvati e stanno scappando verso casa. Ad un comando di Actarus, Goldrake salta sul disco spaziale, restando in piedi. Atlas e Goldrake si alzano dal terreno, mentre i piedi di Goldrake si magnetizzano sulla superficie del disco spaziale: da questo momento è praticamente impossibile separarli. Actarus ha preso una decisione.
Bisogna colpire molto, ma molto duro. Goldrake è alla fine della sua riserva di energia. Ora quel mostro dev’ essere abbattuto ad ogni costo, e penso di aver trovato il modo.
Atlas e Goldrake si allontanano da Kandura con gran velocità, raggiungendo in poco tempo le nubi e superandole. Già si raggiunge la stratosfera, e anch’essa viene superata. Dopo un istante ancora di gran velocità, in cui sono tutti rivestiti di fiamma per l’impatto con l’aria, raggiungono lo spazio.
“E’ il momento, Goldrake. Un ultimo sforzo.”
Obbedendo agli ordini di Duke Fleed, il robot-samurai si inginocchia sopra Atlas, magnetizzandosi sulla sua superficie. Mette le braccia davanti a sé, aprendo i magli perforanti e facendoli roteare alla massima potenza.
“Atlas in picchiata, a velocità totale!” grida Actarus.
Il disco spaziale scende verso Fleed, aumentando la sua velocità fino a diventare una cometa di fuoco che scende verso la terra. I magli perforanti di Goldrake aumentano la potenza man mano che cresce la velocità, favorita dall’attrazione gravitazionale. Non sono mai diventati così taglienti e letali prima d’ora: quasi non si vedono a occhio nudo.
Kandura osserva qualcosa che si avvicina verso di lui con la velocità del lampo: l’impatto è praticamente istantaneo e devastante. Prima ancora che se ne renda conto, un enorme buco si è aperto nel suo petto: Goldrake e Atlas, usando la forza dell’impatto insieme ai magli perforanti, hanno trapassato da parte a parte il mostro. L’essere gigantesco si volta verso il suo nemico e si muove ancora, senza rendersi conto che praticamente è già morto.
Actarus non vuole dare un’altra possibilità a quell’abominio: non deve assolutamente rigenerarsi.
“Alabarda spaziale!”
Goldrake mette l’alabarda in verticale davanti a lui: il disco spaziale si pone nel buco nel petto di Kandura e ascende rapidamente. Le lame dell’alabarda penetrano nelle carni del gigante, spaccando in due il suo mostruoso volto. Mentre Atlas si innalza sopra il mostro, quest’ultimo esplode in un immane boato.
Goldrake ha vinto, ma è stata una vittoria sofferta. Actarus fa planare Atlas a terra e Goldrake scende dal disco spaziale. Ma, dopo pochi passi, cade in ginocchio a terra. Cerca di rialzarsi usando l’alabarda come sostegno, ma riesce ad usare solo il braccio che tiene in mano l’alabarda. L’altro resta inerte, mentre esce del fumo dalle giunture del robot. I comandi non rispondono più, e Actarus capisce: Goldrake ha esaurito tutta l’energia. Apre il vetro della cabina di comando e salta a terra, riuscendo a toccare la superficie senza risentire più di tanto della gravità. Actarus, sfinito, si toglie il casco e guarda Goldrake con compassione, mentre le sue labbra si aprono ad un sorriso.
“Sei stato grande, Goldrake. Ma i nemici sono veramente forti: dovrò pensare a qualcosa in futuro…”
Poi Actarus si volta in direzione della capitale, e il suo sorriso diventa una smorfia di spavento e sente una stretta al cuore. Da laggiù si alza una grande nuvola di fumo nero, dovuto ad un enorme incendio, visibile anche a chilometri di distanza.
Venusia!


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Edited by joe 7 - 17/6/2014, 15:54
 
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Nella sala del trono, si sente uno strano ronzio sottofondo.
Per un momento, si guardano in faccia senza parlare: da una parte l’emissaria del mondo dell’oscurità, dall’altro la terrestre che è diventata regina di un mondo lontano. Delle due, è la prima a parlare con tono canzonatorio:
“Tu devi essere quella regina dei miei stivali!”
Venusia non reagisce. Calmati, dice tra sé. Falla parlare. Guadagna tempo.
“Il capitano Amauta…l’hai ucciso, vero?”
“Amauta? Ah, si chiamava così?” risponde l’altra, voltando lo sguardo per un momento in direzione del cadavere del capitano. “Bel nome, ed era pure un bell’uomo. Peccato averlo ammazzato.”
La mano di Venusia si stringe a pugno, tremando leggermente, ma rimanendo ferma. Maledetta…Calmati!
“Posso almeno sapere chi sei e che cosa vuoi?”
La donna misteriosa risponde facendo un leggero inchino, non sai se beffardo o grottesco: forse entrambe le cose.
“Sono Jezabel, braccio destro dell’Oscuro e comandante in capo dei sei generali dell’oscurità”
“Quindi ci siete voi dietro a quella ‘mano d’ombra’ nello spazio?”
“Certamente!”
“Capisco. Ma non hai risposto alla mia seconda domanda. Cosa volete da noi?”
“Da te, niente. Ci interessa tuo figlio.”
Per un attimo, Venusia è paralizzata dallo shock.
“Rex?” sussurra, rifiutando di crederci.
“Esattamente. Sarà un sacrificio umano molto importante.”
All’improvviso, Venusia sente il suo spirito freddo e determinato come il ghiaccio.
“Sei completamente pazza”
Mentre dice questo, la pistola laser, estremamente potente, che Actarus le aveva dato in passato, con uno scatto fuoriesce dalla manica dove Venusia l’aveva nascosta. Afferrandola in mano, spara a poca distanza dal volto di Jezabel, che però non si fa prendere di sorpresa: nonostante la rapidità dell’azione, il palmo della sua mano compare come per magia tra la pistola e l’obiettivo, trasformando i raggi laser in innocui fuochi artificiali. Prima che Venusia se ne renda conto, Jezabel afferra la pistola con la mano e la stritola in una morsa, facendola cadere per terra.
“Sei una bambina cattiva…dovrai essere punita!” dice con un ghigno.
Subito un forte manrovescio colpisce Venusia sulla guancia, facendola abbattere a terra stordita. Cerca di rialzarsi, ma si sente le gambe indebolite dal colpo, mentre avverte il sapore del sangue in bocca.
Che botta…non mi hanno mai colpita così forte!
Muove le mani a casaccio, quasi come un cieco, sul pavimento, cercando un appiglio, o un’arma. All’improvviso afferra qualcosa di pungente e l’osserva di nascosto, tenendo la faccia rivolta verso il basso. La stella a sei punte…la copia del simbolo reale! Dev’essere caduta dalla bacheca a causa della distruzione del portone, che ha fatto tremare le pareti. E’ fatta di gren, diceva Actarus…uno dei metalli più resistenti dell’universo. Venusia nasconde la stella tra le mani, cercando di raccogliere le forze, facendo finta di apparire sconfitta. Resta con la faccia verso terra e dice, con la bocca impastata, facendo fatica ad articolare le parole:
“Perché? Perché lo volete ammazzare?”
“Non preoccuparti, non lo uccideremo adesso: solo tra due settimane, quando le sette stelle saranno allineate. Prima del sacrificio, l’offerta dev’essere in perfetta salute. Ma non ci pensare più: questa scena non la vedrai!”
E mentre parla, le dita delle sue mani si affilano di nuovo e si alzano per uccidere senza pietà. Ma, inaspettatamente, Venusia scatta in piedi e colpisce in faccia Jezabel con la stella fatta di gren, gridando a gran voce:
“Tu mio figlio lo lasci stare!”
Jezabel lancia un urlo e indietreggia sorpresa: non si aspettava una reazione simile. Si mette una mano sulla faccia ferita, e quando l’osserva vede per la prima volta il suo sangue. Per un attimo resta stupita e non riesce a crederci: quell’essere inutile l’aveva ferita. Non era mai successo prima. Guarda per un momento Venusia con aria sorpresa, poi l’ira dentro di lei esplode, facendola gridare con rabbia:
“COME HAI OSATO?”

Un’esplosione immane sconvolge tutto il palazzo reale, facendolo tremare sin dalle fondamenta. Si alzano delle lingue di fuoco alte decine di metri che bruciano ed anneriscono ogni cosa. I sopravvissuti scappano spaventati: anche il Gran Visir si è salvato a stento. Per un momento restano tutti a guardare increduli le fiamme che distruggono la casa del re. Poi il Gran Visir reagisce: ordina a tutti di prendere gli idranti e gli estintori, e la gente, prima inebetita, si riprende e cerca di eseguire i comandi dell’anziano.

Il disco spaziale si avvicina rapidamente alla città ferita dal fuoco. Fà che non sia successo niente a Venusia e al piccolo! supplica Actarus con angoscia. Suda freddo, al pensiero di quello che pensa di trovare. Una gran folla è scesa lungo la strada per osservare il falò gigantesco, che rischia di bruciare anche quello che è vicino: e Actarus riconosce che quella è la zona dove una volta sorgeva il palazzo reale. Cosa era successo? E Venusia? Atlas atterra in uno spiazzo poco distante e Actarus si toglie il casco, lasciandolo sul sedile. Corre verso le fiamme col cuore in gola. La gente al suo passaggio lo riconosce e si fa da parte.
“E’ lui!”
“Il re!”
“Fatelo passare!”
“Ma cosa è successo?”
Alla fine arriva davanti ai cancelli, dove si vede un orrendo fuoco che brucia tutto ed emana calore per chilometri. I getti d’acqua, per quanto potenti, non riescono ancora ad attenuare le fiamme. Actarus deve resistere alla stretta che sente allo stomaco. Un soldato vicino a lui lo saluta e Actarus gli chiede:
”Cos’è successo? Dov’è la regina?”
“Non…non lo so, maestà. Sembra che sia venuto un intruso, non è molto chiaro, forse ha messo una bomba…della regina non so nulla. Lì c’è il Gran Visir, le potrà dire qualcosa.”
Actarus, riconosciutolo, corre subito verso l’anziano.
“Gran Visir! La regina...DOV’E’?”
“Maestà…io…non…non lo so.” risponde, confuso “Il capitano Amauta è morto e la guardia reale è stata decimata…sto cercando di capire cosa è successo. E’ entrato un individuo molto potente…”
Actarus si rende conto che il Gran Visir sta girando intorno alla risposta, e sente qualcosa dentro di lui spezzarsi. Con rabbia, afferra l’anziano per le spalle e gli dice fissandolo negli occhi:
“Quando è accaduto lo scoppio e l’incendio, Venusia DOV’ERA?”
Il Gran Visir è costretto a dire tutto.
“Era…era nella sala del trono, maestà…col principe…l’esplosione…temo…temo che sia partita da lì…”
Venusia è morta? Morta? Actarus non ci crede. L’aveva vista stamattina. Era viva. L’aveva salutata. L’aveva…
All’improvviso, non riesce a reggersi e si trova inginocchiato a terra, guardando in avanti con aria assente. Sente che gli parlano, che lo scuotono. Il Gran Visir gli sta dicendo qualcosa, ma lui non capisce, come se fosse in un altro mondo. Sente il fuoco, le voci, le grida, il fumo, l’agitazione frenetica, il suo stesso corpo come fossero qualcosa che avviene ad un altro. Non riesce neanche a piangere: si sente al di là delle lacrime, vuoto e stanco.
Nello stesso momento, a chilometri di distanza, per una strana coincidenza, Goldrake è inginocchiato e immobile a terra, nella stessa posizione di Actarus, come se questa volta il robot-samurai partecipasse al suo dolore, mentre era sembrato indifferente agli occhi di Actarus la volta che era morta Rubina. Ma questo non è di nessuna consolazione per Duke Fleed.

Le onde avanzano e si ritraggono, per poi avanzare ancora. Venusia si sente bagnare i piedi e si sveglia.
Dove sono? Che è successo?
Apre gli occhi e si guarda intorno: è distesa su una spiaggia, di notte. C’è un certo chiarore lunare che permette di vedere abbastanza bene. Pian piano, i ricordi degli ultimi istanti tornano alla memoria di Venusia: Jezabel…Rex…Cosa era successo a Rex? Jezabel l’aveva preso? E io, come mai sono qui? Sono su Fleed? O sulla Terra? Non capisco più niente.
Venusia si alza con gran fatica: sente la guancia che le fa male. Inizia a camminare da qualche parte, barcollando. Poi tutto il mondo le gira intorno, e si sente di nuovo sprofondare nel buio. Cade sulla spiaggia senza accorgersene.

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Edited by joe 7 - 17/6/2014, 17:05
 
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2 – Le sette stelle

Sono tornata, pensa con affanno Jezabel l’Oscura, mentre si guarda intorno: è di nuovo a Darkhold. Il teletrasporto ha funzionato bene.
A momenti la missione stava per diventare un fallimento. Era riuscita a prendere il bambino prima che tutto saltasse in aria. Cos’era successo? Jezabel cerca di fare mente locale. Era stata ferita alla guancia, poi si era scagliata contro Venusia per farla a brani. Ma lei aveva ancora in mano quell’oggetto che l’aveva ferita, e lo usava per difendersi: Jezabel ha dovuto evitarlo, e quindi fermare il suo slancio. Ma subito dopo l’Oscura l’aveva afferrata per le vesti e l’aveva scagliata contro la parete. E’ da lì che è successo il finimondo. Qualcosa, proprio nel punto dove lei l’aveva gettata, è esploso. Venusia dev’essere morta carbonizzata, pensa Jezabel, ma l’esplosione era stata così forte che ero finita contro un campo di forza invisibile, installato prima che entrassi. Una protezione. Avevo capito che l’obiettivo era lì. Bisognava far presto, prima che le fiamme divampassero dappertutto: ho attraversato il campo di forza e strappato il marmocchio dalle donnette urlanti che erano lì. Poi mi sono teletrasportata e sono tornata qui. Cos’era stata quell’esplosione?
Mentre Jezabel riflette, osserva il bambino: dorme tranquillo. L’effetto catalessi – un piccolo incantesimo – ha funzionato subito. Meglio così. Le urla dei bimbi la innervosiscono. Poi Jezabel si tocca la guancia destra: sanguina ancora.
Maledizione.
All’improvviso avverte la presenza di qualcuno e si volta di scatto, coprendosi la ferita con una mano.
“Chi è?” grida con furia.
Una figura femminile, rivestita parzialmente da una corazza e col volto metà coperto da un elmo con visiera, esce dal buio, esitante, i biondi capelli leggermente mossi.
“Sono…sono Jocasta delle Amazzoni, comandante. Tutto bene?”
Ci mancava solo lei.
“Piantala con le domande stupide. Non sono in vena.” risponde Jezabel, facendo attenzione a non mostrare la parte sfigurata del suo volto. “Cosa ci fai qui?”
“E’ per la rivista dell’esercito, comandante. Le Amazzoni sono già schierate. Aspettiamo solo voi.”
Non è possibile, proprio oggi? Me n’ero dimenticata.
“E’ annullata.”
“Come?”
“Sei sorda? Ho detto che è annullata. Lo faremo un’altra volta. Vattene. Anzi, no, aspetta: prendi questo marmocchio e portalo nella zona dei sacrifici. Non deve succedergli niente, chiaro?”
“Sì, comandante” risponde l’altra, prendendo il bimbo e andando via alla svelta: conoscendo il carattere della sua padrona, capisce che al momento è molto saggio star lontani da lei. Però non può fare a meno di chiedersi cosa le sia successo alla faccia.

Camminando a grandi passi e continuando a tenere coperta la ferita, Jezabel arriva nei suoi appartamenti. Manda via con ordini bruschi le ancelle e si chiude dentro. Solo allora si rilassa, appoggiando la schiena alla porta ed emettendo un sospiro. Si toglie l’armatura con una calma nervosa e si immerge nell’acqua calda della piscina, lavandosi con cura. Poi capisce che non può rimandare. Deve guardarsi allo specchio. Non ne ha il coraggio, ma deve farlo. Lentamente, si mette davanti alla specchiera. La luce illumina impietosa lo sfregio: tutta la guancia destra è graffiata con un taglio verticale.
Jezabel per lunghi attimi guarda attonita quell’obbrobrio. Poi si sente vacillare e appoggia una mano sullo specchio. E’ stata ferita. Jezabel, il braccio destro dell’Oscuro, colei che comanda i sei generali, è stata ferita da una stupida, debole donna comune. Che assurdità. Pian piano il taglio si cicatrizzerà e la guancia potrà tornare come prima, almeno spera: la sua capacità di guarire rapidamente è sempre stata efficace. Ma non è questo il punto. Chi se ne importa se sono capace di rimarginare le ferite? Per molti giorni lo sfregio rimarrà. Molti lo vedranno. Anche quel dannato Garuda. Proprio in faccia doveva colpirmi, quella…Ma di cos’era fatto quel maledetto oggetto che aveva in mano? Neanche una lama d’acciaio è capace di tanto!
La mano appoggiata sullo specchio si piega ad artiglio, con le dita affilate che iniziano a penetrare nel vetro, formando ampie incrinature. Guardando in basso e stringendo i denti, maledice per l’ennesima volta Venusia, rimpiangendo il fatto di non averla potuta ammazzare con le sue mani. Delle mani che hanno dovuto uccidere per tutta la vita. Le viene in mente quando le usava per sopravvivere.
Non sa in che pianeta è nata, né in quale città. Non ha mai saputo il suo vero nome, né se ne aveva davvero uno. Non sa neanche se ha mai avuto dei genitori o se era il frutto di un’unione artificiale cromosomica. Sa solo che fin da bambina doveva essere una belva per sopravvivere. Rubava dove capitava. Lottava contro i cani o altri animali selvatici per avere un pezzo di carne attaccata a un osso. Più che vivere, esisteva. Una continua fuga, una continua lotta. Uccideva, se possibile, per avere un minimo di sopravvivenza per il domani. Ma in un simile inferno non si vive a lungo. Si ricorda bene, Jezabel, di quella volta: era ridotta a un mucchietto di stracci in mezzo alla strada, moribonda e piangente, che ormai non aveva più la forza di continuare. E sarebbe morta allora, se non fosse passato lui. Non si chiamava ancora Oscuro, non era ancora un’ombra vivente: aveva un aspetto umano, anche se gli occhi avevano qualcosa di freddo che quella bambina, pur nello stato in cui era, non poteva fare a meno di notare. Poteva passare oltre, come avevano fatto tutti prima di lui. Ma si era fermato e l’aveva guardata. L’aveva raccolta e portata a casa sua. Da allora, fu adottata: poteva lavarsi, vestirsi, mangiare come mai prima. Le aveva persino dato un nome, che ora porta con orgoglio. La sua riconoscenza verso lo sconosciuto non aveva limiti. Quando un giorno le aveva detto che voleva che diventasse una buona guardia del corpo per lui, aveva preso l’incarico molto seriamente. In breve tempo, aveva scalato tutti i gradini delle arti della lotta: la sua ferocia nei combattimenti impressionava persino i guerrieri più smaliziati. Attraverso la bionica e il misticismo, l’Oscuro la usava per sperimentare nuove vie, nuove aperture di potenza mai raggiunte dall’uomo. Se non era diventata invulnerabile, ci era molto vicina. Se non era diventata immortale, ci era molto vicina. Ma non solo: era riuscita a fondare il suo esercito personale di Amazzoni, diventato fonte di terrore per le sue capacità di sterminio. Anche la lotta per il potere fu spietata: alla fine era riuscita a diventare il comandante supremo, persino sopra i sei generali dell’oscurità. Tutto per lui.
Jezabel si guarda ancora il viso. Gli occhi le si inumidiscono. Per un attimo – anche se solo per un attimo – capisce che, nonostante tutta la sua potenza, tutto quello che ha avuto, tutto quello che ha fatto, è ancora nell’anima come quella bambina piena di stracci che piangeva in mezzo alla strada.
La mano si stringe più forte e il vetro salta in mille pezzi.

Jocasta esce in fretta dalla zona dei sacrifici. Odia quel posto, e avrebbe fatto volentieri a meno di andarci, ma doveva obbedire agli ordini. Ora il bambino è là e prova un po’ di compassione per lui: almeno nessuno gli farà del male e sarà in animazione sospesa fino al giorno del sacrificio. L’offerta infatti deve essere pura, dicono i Sacerdoti Neri, coi loro assurdi vestiti bianchi. Decisamente poco coerente. Jocasta li disprezzava tutti, soprattutto Sukeli, il loro capo.
Sono veramente contenta di non averlo visto. Meno lo vedo e meglio sto.
Gli dei che loro venerano sono degli abomini, veri e propri diavoli. Non vuole avere niente a che fare con quel mondo: lei è una guerriera, e preferisce combattere guardando il nemico in faccia. Queste cose la disgustano.
Arriva al salone grande e chiama la sua attendente:
“Caledonia!”
“Sì, capitano?”
“L’appello della truppa è stato rimandato. Fai sciogliere i ranghi.”
“Come? Ma il comandante Jezabel aveva detto…”
“Lo so. Adesso ha cambiato idea. Anzi, credo che sia meglio che ce ne andiamo da questo pianeta per un po’: mi sa che il comandante vuole stare sola. Chiama con te dieci amazzoni fidate: daremo un’occhiata ai centri di addestramento e alle zone di combattimento. Insomma, facciamo un giro.”
Caledonia non è molto sorpresa. I cambi d’umore di Jezabel sono caratteristici, ed è sempre bene non contraddirla.
“ Va bene, capitano: adesso vado.”


(NOTA: Per i commenti, potete postare qui: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost. Se volete scaricare questa puntata nel formato word, il link è qui sotto.)

Edited by joe 7 - 23/6/2014, 14:28
 
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Il funerale delle vittime dell’attentato al Palazzo Reale è seguito da una gran folla. In particolare, Amauta era molto amato dalla gente, perché nei tempi bui della dominazione di Vega lui e il principe Duke Fleed erano la loro sola speranza. Ora tutte queste morti, insieme a quella della Regina e del Principe, senza contare la distruzione del Palazzo reale, fanno temere ancora il ritorno di quel tempo maledetto. Si parla anche di un mostro immenso, fermato da Goldrake, che però adesso è in riparazione: la battaglia era stata cruenta. E tutti temono che sia solo l’inizio.
Actarus sa che dev’essere presente ai funerali per tranquillizzare gli animi: quindi partecipa, mentre vorrebbe stare solo. Certo, gli dispiace molto per Amauta, uno dei suoi migliori amici, ma non c’è confronto con la perdita di Venusia e Rex. Per tutto il tempo del funerale, Actarus non riesce a pensare ad altro che a Venusia.
Ricorda la prima volta che l’aveva vista. Lui e Procton avevano bussato alla casa di Rigel per presentarsi, quel giorno, quando una ragazza aveva aperto loro la porta e lui aveva visto Venusia per la prima volta. Era rimasto sorpreso: non aveva mai visto prima una ragazza dai capelli corti. Naida, Rubina, tutte avevano i capelli molto lunghi e sciolti. Inoltre, i suoi occhi erano particolari: una via di mezzo tra una ragazza un po’ bambina e sognatrice e nello stesso tempo matura e pratica. Occhi grandi, semplici, non magnetici come quelli Naida o splendenti come quelli di Rubina. Eppure avevano un fascino particolare.
Forse si era innamorato di lei a prima vista senza saperlo. E se ne era reso conto solo quando l’aveva vista quella volta che erano andati a vederla alla gara di ginnastica aerobica: nessuno avrebbe mai immaginato tanta grazia in una semplice ragazza di campagna. Ma si era sentito colpevole per questo, davanti a Rubina, alla quale ogni tanto pensava con rimpianto, chiedendosi dove fosse finita. Mentre per Naida si era già rassegnato, credendola morta. Inoltre voleva stare lontano da Venusia – anche se gli costava – per non coinvolgerla nel suo mondo, un mondo fatto di guerra, sangue, vendetta e morte. A vedere tutto questo, gli occhi di Venusia avrebbero perso quell’innocenza che lui amava, e Actarus non lo voleva. Ma non si potevano tenere segrete a lungo cose simili. Una volta scoperto tutto, lei voleva combattere a fianco di Goldrake e Actarus era contrario. Non voleva che facesse la fine di Naida, o peggio. Ricorda quella volta che Venusia era quasi morta, quando Hydargos aveva invaso l’Istituto. Solo una trasfusione del suo sangue su di lei aveva permesso che continuasse a vivere.
I ricordi di Actarus su Venusia scendono a cascata nella sua mente, mentre i riti del funerale proseguono. Quella volta che era a cavallo. O quando erano stati insieme per la prima volta in quella grotta. Oppure quando ascoltava le sue serenate con la chitarra sotto la luna. Oppure tutte le volte che erano interrotti da Rigel quando parlavano tra loro. O quando lei aveva la faccia piena di cerchi e “x” tracciati col pennarello perché aveva perso più volte a badminton alla festa di fine anno. E altre immagini, innumerevoli.
Perché non l’aveva portata subito su Fleed, quando tutto era finito? Certo, perché Rubina era appena morta…ma perché non prometterle almeno che sarebbe tornato? Era diventato timido come uno scolaretto? O era ancora sconvolto per quello che era successo? O era in pensiero per il pianeta Fleed che pensava morto mentre invece tornava a vivere? Non saprà mai darsi una risposta.
E Venusia? Perché non mi aveva detto nemmeno una parola quando stavamo per partire per Fleed, io e Maria? Avevo parlato con tutti, con Venusia solo uno sguardo. Eppure avevamo un’infinità di cose da dirci. Qualcosa ci tratteneva. Che cosa, nemmeno lei forse sapeva dirlo. La paura dell’ignoto? La consapevolezza che, una volta fatto un certo discorso, le loro vite sarebbero cambiate per sempre? Poi erano riusciti a ritrovarsi, si erano sposati, avevano messo al mondo un figlio. Maria era tornata sulla Terra per sposare Alcor. Tutto è bene quello che finisce bene. Ma questo succede nelle favole, e qui è realtà: e nella realtà quando finisce qualcosa, ne inizia un’altra. E ora?
Venusia è morta, Rex è morto, Amauta pure. I contatti con la Terra non sono ancora stati ristabiliti, e questo in verità per Actarus è un sollievo, anche se non vuole ammetterlo. Cosa avrebbe detto ad Alcor e a tutti quanti? E a Rigel, come avrebbe fatto a dirglielo? “Mi spiace, ma tua figlia è morta…” Solo al pensare di dovergli dire una cosa simile, Actarus sta già male. E Maria? Lei vuole bene a Venusia come a una sorella…era stato anche grazie a lei che noi siamo riusciti a sposarci alla fine. Almeno adesso ho una scusa per rimandare…ma prima o poi dovrò dirglielo, pensa Actarus. Per quanto possa essere di magra consolazione, una cosa è certa: chiunque sia dietro questa “Ombra”, pagherà. Non permetterò che faccia dell’altro male, ad ogni costo. Goldrake si scatenerà come mai prima. Ma non mi faccio illusioni: il nemico ha una forza incredibile e delle potenze sterminate al suo servizio. Questa sarà la mia ultima battaglia, ma morirete con me.

Il Gran Visir osserva le rovine del Palazzo Reale con tristezza dalla finestra della sua camera. Davanti al tramonto, tutto sembra più desolato. Il funerale è terminato e il re è tornato nei suoi appartamenti, in questo edificio che è la “Residenza”, un’area appartata per il riposo o per lo sport, che era distante dal Palazzo Reale e quindi era sopravvissuto al disastro. Il re è rimasto pallido per tutto il giorno, e l’anziano non se ne meraviglia. L’unica cosa che Duke Fleed gli aveva detto riguarda Goldrake: lui ha intenzione non solo di ripararlo, ma anche di rinforzarlo a livelli superiori. Ma questo è molto pericoloso: la sua potenza si accrescerà, certo, però il rischio per il pilota sarà elevato. In un certo senso, Goldrake e Duke Fleed quando combattono sono come in simbiosi: le leve e i pulsanti solo in apparenza sono esterni. Ma è coinvolto tutto il pilota: il suo fisico, la sua mente, persino la sua anima. Controllare una potenza così immensa è pericoloso, ma lo è ancor di più quando lo si vuole rinforzare a livelli superiori. Il rischio di distruggere il proprio fisico e di perdere la ragione è molto alto, ma il re è deciso.
Cosa vuole fare? Vuole morire? Ma non può abbandonare il popolo di Fleed. Spero che non dia a me il mantello del comando…non ce la farei a reggerlo. Ma ho paura che farà così.
Mentre il sole si spegne e compaiono le prime stelle, il Gran Visir, che era restato in piedi davanti alla finestra tutto il tempo a riflettere, sente che qualcosa gli tira il mantello. Sorpreso, si volta e non vede nulla. Poi abbassa la testa e vede una ragazzina dai capelli chiari e lunghi, con un vestito semplice e comune, che gli stava tirando il mantello per attirare l’attenzione. L’anziano è stupito: non solo per non averla sentita arrivare, ma anche per il fatto che una ragazzina non poteva essere finita qui, con tutta la sorveglianza e i controlli elettronici ad ogni passo.
“Cosa fai qui? Chi sei?” chiede lui.
La bimba sorride tranquilla e dice:
“Questo è per Sua Maestà.” e gli porge un foglietto a quadri piegato in quattro. Il Gran Visir lo prende, stupito, ed osserva per un momento il foglio. Un pezzo di carta comune, preso da un quaderno per le scuole elementari. Per un momento non capisce più niente.
Si volta verso la ragazzina per parlarle, ma non vede più nessuno. Si guarda intorno, senza risultato. Apre le porte e dice al guardiano:
“Guardia, dov’è finita quella ragazzina? Era qui un momento fa!”
“Quale ragazzina, signore? Nessuno è entrato e nessuno è uscito da qui. Sono sempre stato al mio posto, me ne sarei accorto!”
Il Gran Visir pensa per un momento di essere diventato rimbambito, se ora comincia ad avere le visioni. Poi osserva il foglietto: quello però è reale!
“Esaminate tutta la stanza e frugate in tutto l’edificio! Una ragazzina è entrata qui, trovatela subito!”
La guardia è sorpresa, ma agisce alla svelta: chiama gli uomini e contatta la sicurezza. Le ricerche durano tutta la notte: nessuna ragazzina, nessun passaggio segreto, nessuna traccia di teletrasporto. Chiunque sia stata, si è volatilizzata.

(NOTA: Per i commenti, potete postare a questo link: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost. Per scaricare la puntata in formato word, si può cliccare al link qui sotto.)

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Hadi, l’ancella, si sveglia da un sonno senza sogni. Si guarda intorno: è a letto, in una camera che odora un po’ di disinfettante. Un ospedale. Si guarda le braccia: sono bendate. Ora ricorda. Lei era sfuggita come per miracolo all’esplosione del palazzo. Prima che le fiamme divampassero, aveva rotto una finestra ed era fuggita sui tetti. Ma si era intossicata ed aveva avuto delle bruciature. Le altre ancelle, Ryui e Sara, l’avevano seguita. Erano state subito raggiunte dai soccorsi, ma le ferite erano gravi. Solo Hadi si era ripresa di recente e aveva detto a uno stupito Gran Visir che il principe Rex dev’essere ancora vivo: quella donna in armatura glie l’aveva portato via dalle braccia con una semplice spinta, che però era stata sufficiente a mandarla fin dall’altra parte della sala. E prima che lei potesse reagire, quella donna era scomparsa col teletrasporto.
E pensare che avevano già fatto i funerali per il principe! Se fosse riuscita a riprendersi prima…
Ma Hadi, immersa nei suoi pensieri, solo adesso si accorge che c’è qualcuno seduto davanti al suo letto. Guardandolo in volto, vede Actarus che la osserva sorridendo.
“Stai bene, Hadi?”
“Maestà!” L’ancella resta per un attimo senza parole.
“Non affaticarti, Hadi. Sei passata attraverso una brutta esperienza: il tuo corpo e il tuo spirito sono ancora sotto shock. Hai bisogno di riposo.” aggiunge Actarus, prendendole le mani. Dopo un attimo di silenzio, continua:”Ti ringrazio per avermi fatto sapere che mio figlio è vivo. Anzi, adesso credo che sia viva anche Venusia.”
“La regina è viva? Ma come? Era rimasta coinvolta in mezzo a quell’esplosione!”
“Siamo rimasti così storditi dagli avvenimenti che non siamo riusciti a notare i particolari. Il tuo racconto ha spiegato molte cose. Pensavamo che la persona che era entrata nel Palazzo Reale avesse piazzato una bomba, ma non è stato così.”
“Allora, chi ha causato l’esplosione?”
“Indirettamente, io.”
Hadi non capisce. Actarus riprende:
“Nel tuo racconto, hai detto che quella donna, che si faceva chiamare Jezabel, era entrata distruggendo il portone, giusto?”
”Esatto.”
“E i detriti del portone erano finiti un po’ dappertutto, vero? Alcuni dovevano essere piuttosto grossi.”
“E’ vero. Ma che c’entra questo?”
“Molto. Lì, nella sala del trono, c’era il teletrasportatore, il regalo di compleanno che avevo preparato per Venusia. I detriti l’hanno colpito, danneggiandolo e attivandolo. Avevi parlato di un ronzio che si sentiva nella sala, vero?”
“Sì, non ci avevo fatto caso.”
“Era il teletrasportatore danneggiato. Conteneva un’enorme quantità di energia, necessaria per permettere il trasporto da Fleed alla Terra, vista la loro grande distanza. Teoricamente, era indistruttibile: per danneggiarlo, quei detriti dovevano andare ad una velocità terribile. E’ un miracolo se a Venusia non era successo niente in quel momento: era proprio davanti a portone.”
“Forse era il posto più sicuro. Ho visto infatti che i detriti andavano tutti ai lati della sala del trono, non al centro. Forse quella Jezabel ha fatto una magia. O avrà colpito in modo particolare il portone.”
“O entrambe le cose. Chi lo sa? Sappiamo ancora poco dei nostri nemici. Inoltre, tu mi hai detto che Jezabel aveva preso Venusia e l’aveva scagliata contro la parete. Il teletrasportatore doveva essere proprio lì.”
Hadi cerca di ricordare quel momento. E le viene in mente che, davanti alla parete dove Venusia era stata gettata, c’era una specie di macchinario che mandava fumo e scintille.
“Ma…se il teletrasportatore è esploso, ho paura che la regina…”
“No” afferma sicuro Actarus. ”Per un misterioso caso, prima che esplodesse, la macchina si è accesa da sola e ha portato altrove Venusia.”
“Dove?”
“Non lo so.”
“Ma come può essere sicuro?”
“Ho ricevuto una comunicazione da una persona che sembra sappia molte cose. Aveva mandato una bambina misteriosa al Gran Visir per consegnargli il messaggio. Tra poco andrò a trovarlo. Ma prima volevo salutarti.”
Hadi si sente più tranquilla. Non insiste più sull’argomento. Dopo un attimo di silenzio, chiede:
“E le altre ancelle? Ryui, Sara?”
“Sono ancora in terapia intensiva, ma penso che si salveranno. Sei stata bravissima, Hadi: la tua reazione immediata ha salvato la vita a te e a tutte le altre.”
Vedendo l’imbarazzo di Hadi, Actarus cambia argomento.
“Prima di andare, vorrei chiederti una cosa.”
“Sì?”
“Hai affrontato un pericolo serio, rischiando la vita, in parte per colpa nostra, che ti abbiamo coinvolto. Forse è meglio se trovi un’attività più sicura, dove non farai più simili esperienze. Ci sono molti nemici intorno a me e a Venusia. Nemici pericolosi e spietati. Cosa ne pensi? Non dovrai preoccuparti per i soldi.”
Hadi non si aspettava questo discorso. Stare lontana da Venusia? E da Rex? Per un attimo resta perplessa. Poi risponde:
“Sire, io ho attraversato l’invasione di Vega. Potrei quasi dire che al confronto, quello che mi è successo ora è una scampagnata. Perdonatemi, ma preferisco stare accanto alla regina fino alla fine.”
Si alza a metà dal letto e afferra saldamente le mani di Duke Fleed, nonostante le braccia bendate.
“Maestà – continua – sono sicura che voi riuscirete a trovare Venusia…cioè la regina e a riportare qui il bambino. Sì, so che ce la farete!”
Actarus è sorpreso dalla forza d’animo di Hadi e capisce che è inutile insistere. Si alza e aiuta l’ancella a coricarsi sul letto, dicendo:
” Spero che sia così. Ti prometto comunque che farò tutto il possibile e di più. Adesso devo andare a incontrare la persona di cui ti parlavo.”
“Chi è questa persona, sire?”
“Si fa chiamare Antico.”
Hadi aveva già sentito parlare di lui, ma pensava che fosse una leggenda.
“L’Antico? E dove lo incontrerete?”
“A Tanzin Boche.”
L’ancella resta senza parole. Tanzin Boche? In Fleediano indica la regione più inospitale del pianeta: la Landa della Fame.


(NOTA IMPORTANTE: Sono costretto con dispiacere a dirvi che devo interrompere la storia per un paio di settimane, perchè vado in ferie in un posto dove non ci sono computer - ogni tanto ci vuole, detto in confidenza - ma quando torno riprendo. Parto Giovedì 25, quindi potrò rispondere a ogni eventuale domanda fino a Mercoledì 24. Torno il 9 Luglio, quindi ricomincerò a postare il seguito il 10 Luglio. Tra parentesi, non ho intenzione di scrivere una storia fiume che non finisce mai, tipo Dallas: questa storia è lunga, sì, ma ha un inizio, uno svolgimento e una fine.
Se qualcuno vuole fare commenti, qui c'è il link: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost.
Se qualcuno vuole scaricare la puntata in formato word, qui sotto ho messo il link. BUONE FERIE A TUTTI!! :foglia: )

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L’astronave atterra senza fare rumore. Un’astronave anonima, ottima per chi vuole viaggiare in incognito. Dallo sportello esce Duke Fleed, guardandosi intorno. Osserva un deserto sconfinato, con gli orizzonti sfumati, quasi come se si vedessero attraverso un vapore e un sole terribile che riempie di una luce eccessiva ogni cosa. Persino dentro il suo costume isolante, Actarus sente la spaventosa temperatura.
Si merita davvero questo nome – pensa – Tanzin Boche, in fleediano“La landa della fame”.
Sin dall’inizio della storia di Fleed, questo posto è sempre stato il più inospitale del pianeta. Persino i Veghiani non volevano attraversarlo, né ne erano interessati: il sottosuolo non contiene ricchezze da estrarre, e nemmeno le più piccole possibilità di coltivazione. Solo sabbia, sabbia e sabbia. Nessun essere vivente nel raggio di centinaia di miglia. E lui ha avuto un messaggio che era partito proprio da qui, per quanto sia assurdo.
Actarus pensa ancora a quel messaggio che la bambina misteriosa aveva dato al Gran Visir: un comune foglio a quadretti di un quaderno delle scuole per bambini, piegato in quattro e con una scrittura ordinata, con una calligrafia perfetta. Diceva:
“Coraggio, mio re! La regina è viva, non preoccuparti per lei. E’ al figlio che devi pensare. Vieni da me.
L’Antico”

Nient’altro. Solo dopo un’attenta analisi di laboratorio, si era giunti alla conclusione che il messaggio era partito da Tanzin Boche. Un risultato illogico, che però era stato confermato da test più volte ripetuti. E più esattamente, da questo punto della Landa della Fame. In mezzo al nulla.
E questo Antico, chi è? Mio padre, una volta, mi aveva parlato di lui descrivendolo come un saggio molto vecchio, che una volta aveva consultato. Anche mio nonno l’aveva fatto. Ma quanti anni ha? Ed è la stessa persona?
Per un attimo, Actarus si sente stupido. Con tutto quello che c’è da fare, con questa misteriosa Ombra che preme, va in mezzo al nulla per incontrare chissà chi. Si guarda ancora intorno, e sente solo il vento soffocante del deserto. Scende dall’astronave lungo gli scalini, osservando, per vedere se trova una traccia, qualcosa.
Ma cosa spero di trovare? Un cartello con su scritto “Casa dell’Antico?”
“E’ meglio se ti affretti, mio re.”
Actarus si volta di scatto. Un ragazzino con in mano una lancia, alla quale è legato un nastro rosso, gli ha parlato.
Da dov’è venuto? Non c’era nessuno un attimo fa!
Guardandolo bene, Actarus si accorge che è vestito con abiti semplicissimi e poveri, senza nulla ai piedi. Sulla sabbia ardente. Eppure non mostra alcun disagio.
“C’è odore di rame nell’aria, non lo senti?” continua il ragazzo.
Duke Fleed se ne accorge adesso, mentre prima non l’aveva notato: un odore pungente, metallico.
“Cosa vuoi dire?” chiede disorientato.
“Arriva il simun”
E’ il nome della tempesta di sabbia nel deserto: un inferno dove non si distingue il cielo dalla terra e si muore in modo atroce, se non si trova subito un riparo. Actarus guarda l’orizzonte, e si accorge che sta diventando scuro, non più trasparente come prima. Neanche il casco che porta sarebbe capace di proteggerlo da una simile furia. Actarus, spaventato, dice al ragazzo:
“Vieni con me, presto! Saliamo sull’astronave e andiamo via!”
Ma il misterioso ragazzo gli blocca con autorità il passaggio verso la macchina, usando la lancia e facendo cenno di diniego con la testa. Poi, sempre con la lancia, indica un punto preciso. Una caverna in mezzo a un blocco di rocce, che stranamente Actarus non aveva notato prima. Capisce che deve andare lì. Il simun arriva con violenza e Actarus si volta per prendere la mano del ragazzo, prima di andare verso la misteriosa caverna: ma lui è scomparso. Actarus non ha più tempo: la terribile tempesta di sabbia si sta intensificando e comincia a non vedere più l’astronave. Se non raggiunge in fretta la caverna, perderà l’orientamento e per lui sarà la fine. Si affretta con gran fatica, nonostante lo spaventoso vento lo ostacoli più volte e raggiunge l’interno della grotta. Si toglie il casco, tossendo con forza: la sabbia era riuscita a penetrare persino lì dentro. Ma almeno adesso è al sicuro.
“Ti saluto, o mio re.”
Actarus si rivolge verso la voce: davanti a un fuoco, un uomo molto vecchio, vestito di stracci, sta seduto a gambe incrociate. Ha in mano un bastone. Guardandolo negli occhi, capisce che è cieco.
“Tu sei…l’Antico?”
Il vecchio annuisce, con un leggero sorriso.
“Mi chiamano così. Il mio vero nome l’ho dimenticato da tanto tempo. Sono un eremita, che vive qui da molti anni in preghiera. Ma ti prego, mio re, siediti. Sarai stanco. Questo pesce è buono, e quest’acqua è fresca. Mangia e bevi: devi recuperare le forze.”
Actarus, guardando bene il fuoco, osserva tre pesci infilzati e rosolati, pronti da mangiare, e una caraffa di acqua fresca con un bicchiere.
Pesce e acqua? Nel deserto? Sempre più assurdo.
Si siede, pensando che forse è tutto un sogno. Allunga la mano per toccare il pesce, e si accorge che è solido. E ha anche un buon sapore. In quel momento, Actarus si rende conto che è da quando era tornato alla capitale a vedere le rovine del palazzo reale che praticamente non aveva mangiato. All’improvviso, prova fame e, sedendosi a gambe incrociate, mangia i pesci con gran piacere, bevendo l’acqua che è di una freschezza incredibile. Si sente sazio e in piena forma. Poi si rivolge all’anziano, che è rimasto per tutto il tempo ad osservarlo in silenzio, e gli dice, con un inchino:
“Ti ringrazio della tua gentilezza e ospitalità. Perdonami se non mi sono ancora presentato, anche se hai capito chi sono. Sono il re di Fleed, Duke Fleed: a volte mi chiamano Actarus.”
“Lo so. E’ il nome che ti ha dato il professor Procton, vero? Una gran brava persona. E’ stata una grande grazia per te l’averlo incontrato. Senza di lui, la tua storia sarebbe finita prima ancora di iniziare. Fai bene a chiamarlo padre.”
Actarus rimane sorpreso: capisce che quella persona sa tutto di lui, anche le cose più nascoste.
“Come devo chiamarti?” chiede Actarus.
“Antico va bene, non è un problema. Hai letto il mio messaggio, Duke Fleed, e sei venuto. Hai fatto bene, perché ho molte cose da dirti sull’Ombra che ti minaccia”
“Come fai a sapere queste cose?”
“Ho avuto la grazia di conoscerle. Per esempio, esiste una profezia che parla dell’Ombra e di te:
Quando si allineano le sette stelle fisse
l’Ombra provocherà l’apocalisse
se il sangue dell’innocente
sarà sparso crudelmente.
Solo il grande re fermarlo potrà,
se sette cavalieri avrà,
se sette cristalli illuminerà,
se sette colori riunirà.

Tu e l’Ombra dovete fronteggiarvi, e solo uno di voi sopravviverà.”
Actarus è senza parole.

Il fuoco crepita illuminando con la sua luce mutevole l’interno della grotta. Di fuori, la sabbia sollevata dal simun passa impetuosa, ululando. Ma i due uomini seduti l’uno di fronte all’altro non ascoltano la sua voce: si guardano in silenzio. Poi Actarus è il primo a parlare:
“Ma questa Ombra, chi è? Da dove viene? E cosa vuole?”
L’Antico inizia a rispondere: “Tanto tempo fa, in una galassia lontana…”
Devo averla già sentita da qualche parte questa frase, pensa Actarus.
“…c’era un re saggio e giusto. Il suo nome non conta, ormai è dimenticato. Ti basti sapere che l’inizio del suo regno era felice. Ma, successivamente, cominciò a venire a patti con la sua coscienza per avere risultati immediati. Li ottenne – o almeno credeva di averli ottenuti – a prezzo però di una parte della sua anima, che era diventata meno sensibile al bene. Piano piano divenne malvagio: un passo alla volta, una concessione alla volta, prima dicendo che il fine giustifica i mezzi, poi dicendo che è importante solo il fine. Bene e male erano diventati giocattoli nelle sue mani, che poteva scambiare e giocarci quanto voleva. Arrivando ad esplorare ogni possibile malvagità al fine di ottenere sempre più potere, alla fine è diventato l’Ombra.”
“Tutto questo perché voleva diventare potente?”
“Anche. Ma gli era successo un avvenimento particolare che gli ha fatto accelerare la strada verso il male.”
“Quale avvenimento?”
“Te lo dirò tra poco. Sappi per ora che il suo obiettivo è fare una nuova creazione.”
“Una nuova…creazione? E noi che c’entriamo? Perché ci ha assalito e ha rapito mio figlio Rex? Che c’entra lui in tutto questo?”
“L’Ombra ha un orgoglio immenso: per lui tutta la creazione è un errore, e vuole farla lui in modo giusto, cioè come vuole lui. Questo è il suo obiettivo. Non posso spiegarti perché, ma lo otterrà, se ucciderà sull’altare tuo figlio quando le sette stelle fisse della profezia saranno allineate”
“Se sono fisse, come fanno ad allinearsi?”
“Una volta ogni diecimila anni avviene. Chiedi all’astronomo di Fleed, Larus, di guardare dal telescopio di Jibera la direzione della mano d’ombra. Ti accorgerai che tende verso una zona dello spazio dove sette stelle, che normalmente sono fisse, iniziano a muoversi.”
“ Ma perché proprio Rex? Perché lui?”
“Perché la Terra e Fleed sono fondamentali. Anche se sono ai margini dell’universo come posizione, in realtà ne sono le colonne portanti. Non chiedermi il perché: è così. E tuo figlio, tuo e di Venusia, porta in sé il sangue della Terra e di Fleed. L’Oscuro attendeva da tempo una nascita come questa. Puoi dire che la “mano d’ombra” ha cominciato a muoversi appena Rex è stato concepito.”
Actarus rimane in silenzio. Poi sorge spontanea un’altra domanda:
“E Venusia dov’è finita? Sta bene? E’ viva?”
“Sta bene, Duke, non preoccuparti per lei. Non è in pericolo: è tuo figlio che rischia di morire.”
“Quando saranno allineate queste stelle? Quanto tempo ho?”
“Undici giorni. Fino ad allora non toccheranno il bambino: l’offerta deve rimanere inalterata, per loro. Devi trovare sette cavalieri e sette cristalli, secondo la profezia.”
“Cosa sono questi cristalli?”
“Sono gli unici oggetti sui quali l’Oscuro non ha potere. Sette cristalli di un colore diverso, che uniti provocheranno la sua fine”
“E dove sono questi cristalli?”
“Nel posto più protetto per l’Oscuro. Nel cuore della “mano d’ombra”, dove lui esercita il massimo del suo potere.”
Me lo sentivo che non sarebbe stato facile, pensa Actarus, restando in silenzio.
Mentre il simun soffia fuori, l’Antico continua a parlare a Duke Fleed, che ascolta con attenzione.

(NOTA: Nella prossima puntata, si saprà dove è finita Venusia.
Se volete scaricare questa puntata in formato word, qui sotto c'è il link.
I commenti potete postarli qui: http://gonagai.forumfree.net/?t=38631928&v...stpost#lastpost

Sono appena tornato dalle vacanze: spero che le abbiate fatte anche voi, o, se no, che ne facciate di bellissime! I'm back! :ruota: )

Edited by joe 7 - 23/6/2014, 14:33
 
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view post Posted on 14/7/2009, 22:17     +1   -1

Ill.mo Fil. della Girella

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Actarus la sta guardando felice e sconcertato. Da adesso in avanti, lui è un padre. Per la prima volta osserva suo figlio. Venusia è felice: il parto è stato lungo, ma ne valeva la pena. Stringe il bambino e lo accarezza, mentre il piccolo guarda tutto con occhi stupiti.
“E’…è bellissimo!” dice Actarus, con un groppo in gola.
“E’ vero. E’ proprio tuo figlio!”
“Come lo chiamiamo?”
“Non ci ho ancora pensato…ne abbiamo parlato tante volte, e non abbiamo deciso niente!”
“Mi sembrava ti piacesse Daimos.”
“E’ vero, ma mi dà sempre l’impressione che sia già stato usato…forse Rex, che ne dici?”
Actarus non risponde, fissa il vuoto.
“Actarus, cosa c’è?”
Una macchia di sangue compare sul petto di lui, che barcollando crolla a terra.
Venusia grida il suo nome e, alzando gli occhi, vede Jezabel, graffiata su una guancia, che la osserva con la mano bagnata di sangue, ridendo.
“Ti ricordi di me? Ti ricordi quello che mi hai fatto alla faccia? Ora pagherai!” e gli artigli la lacerano ferocemente, insieme al bambino.

Venusia si sveglia urlando. Il cuore le batte all’impazzata, mentre sente delle gocce di sudore freddo scenderle dalla fronte. Cerca di calmarsi, guardandosi intorno. E’ a letto in una stanza, con un arredamento simile a quello terrestre. Il sole sembra abbastanza alto e filtra attraverso le tende della finestra.
Ma non ero in una spiaggia? Sono finita sulla Terra?
All’improvviso, una porta si apre e si affaccia una donna di età avanzata. E’ vestita in modo semplice, coi capelli raccolti e un grembiule davanti. Con un’aria preoccupata, dice:
”Ah, vi siete svegliata! Ma cos’era quell’urlo?”
Venusia non la conosce, ma sente che parla la sua lingua. E’ sulla Terra, quindi.
“Non si preoccupi. Sto…sto bene, grazie. Ho solo avuto un brutto sogno. Dove sono?”
“Sei a casa del Dottor Nakashima. Io mi chiamo Yumiko, sono sua moglie. Ti ha trovato mio figlio Jimmy sulla spiaggia: gli piace fare il bagno di mezzanotte e ti ha trovato lì. Come stai?”
“Bè, sono un po’ stordita, ma per il resto sto bene, grazie.”
Poi Venusia capisce che ha addosso solo una camicia da notte. Guarda Yumiko con aria interrogativa. Lei risponde:
“I tuoi vestiti erano un disastro. Bruciati e lacerati. Ti ho messo una camicia da notte di quelle che mettevo una volta: ti sta benissimo! Comunque, quello che indossavi è lì.” e indica dei panni appoggiati su una sedia, che una volta erano dei vestiti, ma adesso nessuno avrebbe il coraggio di mettersi.
“La tua collana te l’ho messa sul comodino.”
Venusia si volta e vede la collana che Actarus le aveva regalato il giorno del suo compleanno. Quando sarà stato? Solo l’altro ieri, credo…ma sembra che sia passato un secolo.
Venusia lo raccoglie in mano e pensa ad Actarus: sarà tornato? Doveva andare a sconfiggere un mostro, ce l’avrà fatta? Non so più nulla. E Rex? Jezabel l’avrà preso?
Sta per chiedere se può contattare il professor Procton, quando compare dalla porta un ragazzo dai capelli ricci, vestito con giacca e jeans, che porta a tracollo una borsa e la saluta con entusiasmo.
“Oh, ecco che si è svegliata! Come stai, Venusia?”
Per un attimo lei è stupita. Non ha mai visto quel ragazzo, come fa a sapere il suo nome? Lui intanto continua a parlare, sedendosi accanto a lei.
“Mi chiamo Jimmy: ti ho trovato ieri sulla spiaggia. Una sorpresa! La regina Venusia in persona! Actarus come sta?”
Venusia è sempre più confusa.
“Scusa, ma come fai a sapere come mi chiamo? Ci siamo visti in passato?”
“Mi aspettavo questa domanda. Non mi conosci, ma io conosco te: ti faccio vedere.”
Apre la borsa, frugando con frenesia: tira fuori un computer portatile.
“No, non è questo. Me lo tieni un attimo?” e lo passa a Venusia.
Poi tira fuori due o tre macchinari con fili e pulsanti, e un mucchio di altre cose che non erano quello che cercava, e li passa un momento a Venusia che si trova in poco tempo sommersa in un mar di roba. Alla fine:
“Ecco! Quello che cerchi è sempre in fondo!”
Passa a Venusia una serie di DVD con l’immagine di Goldrake sulla copertina.
“E’ la serie di Atlas Ufo Robot: ha un gran successo qui. Modestamente, ho fondato un fan club. Vedi? La ragazza qui sei tu!”
Venusia osserva il disegno: è molto somigliante a lei, a parte i capelli, che sono corti, come quelli che portava una volta. Non ne sapeva niente di tutto questo.
“Da dove viene questa roba?” chiede stupita. Scorrendo i DVD riconosce i volti dei suoi amici e quelli dei nemici di Vega, compresi i mostri che avevano affrontato in passato: riproduzioni praticamente perfette.
“Hanno fatto una serie a cartoni animati su di voi appena Actarus è partito dalla Terra. Non è stato facile trovare l’edizione in DVD.”
“Basta, Jimmy! – lo interrompe la madre – la nostra ospite è stanca, non devi affaticarla. Mettiti questo, tesoro: sei ancora in camicia da notte, non te n’eri accorta?” e le passa una vestaglia.
Venusia arrossisce e si mette subito la veste. In quel momento, compare nella stanza un uomo alto, con una barba e un paio di occhiali. Porta un camice bianco e ha un aspetto bonario.
“Buongiorno, signora – dice lui – sono il professor Nakashima. Nostro figlio Jimmy è un suo fan e ieri ci ha fatto una testa così raccontandoci di voi. State bene adesso?”
“Ah…certo, grazie.”
Istintivamente, si tocca la guancia dove Jezabel l’aveva colpita e non avverte più niente, solo un vago pizzicore.
“Avevate una brutta botta lì. Ma ci ho messo sopra una crema di mia invenzione, che come vedete ha funzionato. Ora il livido è quasi scomparso.”
“Vi ringrazio molto – risponde Venusia – vorrei chiedervi un favore: potete farmi telefonare al professor Procton? E’ molto urgente!”
“Eh, magari...ma chiedete l’impossibile, mia cara ragazza.”
“Perché? Saranno mica interrotte anche le comunicazioni qui sulla Terra, spero?”
Le tre persone che sono attorno al letto di Venusia stanno per un attimo in un silenzio perplesso. Jimmy è il primo a parlare.
“Scusami, Venusia…posso chiamarti così? Temo che tu abbia preso un abbaglio. Qui non siamo sulla Terra.”
“Cosa? E dove sono? Su Fleed?”
“Nemmeno. Questa è la colonia terrestre del pianeta Betelgeuse.”
Venusia resta senza parole per un pezzo.

Alla fine di un buon pranzo, Venusia racconta la sua storia al professor Nakashima e alla sua famiglia. Dopo un attimo di silenzio, Yumiko, la moglie del professore, le chiede:
“E tuo figlio, cosa pensi che gli sia successo?”
“Forse quella Jezabel l’ha presa. Non aveva intenzione di ucciderlo, ma di portarlo via. Voleva sacrificarlo quando le sette stelle saranno allineate. Almeno, così aveva detto.”
“E cosa vuol dire?”
“Che lo uccideranno dopo. Il problema è che non so niente di queste sette stelle, né quando saranno allineate.” risponde preoccupata.
“Tra dodici giorni, tre ore e quattro minuti.” dice Jimmy.
Venusia si volta verso di lui, stupita. Il ragazzo mette sul tavolo il suo computer portatile che era su una sedia.
“Ho installato il registratore automatico, così, mentre raccontavi, nello stesso tempo il mio computer faceva una ricerca in internet su alcune parole chiave che ho selezionato mano a mano che parlavi.” dice orgoglioso, mostrando il telecomando. “Una piccola invenzione che ho fatto.”
“Ho insegnato le basi dell’informatica a Jimmy.” spiega il professor Nakashima “Mio figlio è un ragazzo di talento, e non solo in quello.”
Caspita, pensa Venusia, non avrei mai pensato che fosse possibile una cosa simile.
“E hai scoperto qualcos’altro?” chiede con ansia.
“Dunque, per prima cosa in astronomia è noto il fenomeno dell’”allineamento delle sette stelle fisse”, che avviene una volta ogni diecimila anni. Senza dubbio Jezabel si riferiva a questo. Che avverrà, come dicevo, tra dodici giorni, due ore e cinquantotto minuti.”
Però.
“E cosa sai dirmi di Jezabel? Lei aveva detto di essere il braccio destro di un tale che si chiama Oscuro e che comanda sei generali.”
“I dati sono frammentari. Questo Oscuro domina delle sezioni di universo molto lontane da qui: anche l’internet universale non aggiunge molto. Intanto ti posso dire che la “mano d’ombra” che tu descrivi è la sede mobile dei pianeti dell’Oscuro e dei suoi generali, che possono spostarsi a comando come delle astronavi. Ecco perché le vedevi muovere all’osservatorio di Fleed.”
“Ma questo Oscuro chi è?”
“Ne ho scoperto poco. Forse con una ricerca più approfondita…Posso dirti intanto che è un essere “in ombra”: un evento molto raro, caratteristico di chi ha raggiunto una potenza tanto elevata che il suo corpo assorbe la presenza della luce stessa. Comanda un esercito sterminato, guidato da sei generali, a capo di Jezabel, il suo braccio destro. A proposito di lei, devo dirti che sei stata molto, molto fortunata. Infatti, quella donna è talmente feroce e crudele da essere chiamata “la sanguinaria”. Dopo che tu l’hai sfregiata, hai detto che ti aveva aggredita, e in quel momento i suoi occhi erano diventati bianchi, vero?”
“Esatto. Era impressionante.”
“E’ lo stato di berserk.” spiega Jimmy, cupo.
“Bercosa?” chiede lei, strizzando gli occhi per capire meglio.
“Berserk. I vichinghi chiamavano così il guerriero completamente impazzito dalla furia da avere una forza smisurata e di non distinguere più gli amici dai nemici. I berserker diventavano così dopo aver bevuto pozioni o droghe ed erano sempre in prima linea nelle invasioni vichinghe. Jezabel è a capo di un esercito di Amazzoni, tutte guerriere donne, molto temute proprio perché possono passare allo stato di berserk a comando, oltre ad essere delle terribili combattenti in condizioni normali. Se non fosse stato per la stella di gren che avevi in mano, lei ti avrebbe sbranata in pochi secondi.”
“Santo cielo.” esclama Yumiko, impressionata.
Venusia riflette. Jimmy gli sta dando informazioni preziose. Ora comincia a comprendere meglio il nemico: finalmente qualcosa comincia a girare per il verso giusto.
“Ma come ho fatto a venire fin qui?” chiede Venusia.
Questa volta è il professor Nakashima a parlare.
“Solo un teletrasportatore può averti portato fin qui. A quanto ho capito, sei passata in un istante da Fleed a Betelgeuse. Sulla spiaggia dove eri finita ho fatto delle analisi: ci sono tracce inconfondibili di teletrasporto.”
Per Venusia è come un fulmine a ciel sereno che illumina chiaramente ogni cosa.
Ma certo! Il regalo di Actarus! Jezabel mi aveva gettata proprio contro il teletrasportatore! Ma non era inattivo? Chiaramente in qualche modo si era acceso!
“Infatti, adesso che ci penso, nella sala reale c’era un teletrasportatore. Ma avrebbe dovuto portarmi sulla Terra, non qui. Almeno così mi aveva detto Actarus.”
“Sul serio? – dice il professore, stupito – Avrei voluto vederlo. La distanza tra Fleed e la Terra è molto grande, non è ancora stato inventato un teletrasportatore capace di colmare una simile distanza. Hmmm…a rigor di logica, devo pensare che quella macchina era stata danneggiata durante il vostro scontro, quindi non era capace di portarti sulla Terra. Per questo ti ha portato qui: ti ha analizzato in un istante, ti ha identificata come una terrestre e ti ha teletrasportata nel posto più vicino a Fleed dove sono presenti dei terrestri. Appunto la colonia di Betelgeuse. Che macchina straordinaria.”
“Comunque, cos’è questa “colonia terrestre di Betelgeuse”? Non ne avevo mai sentito parlare!”
“Qui è meglio se comincio dall’inizio. Non so se hai presente il film “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, ma a noi è successo qualcosa di simile. Anni fa, io e alcuni miei amici, che eravamo ancora sulla Terra, siamo stati contattati da alieni che erano atterrati lì da Betelgeuse ed avevano bisogno di aiuto per tornare a casa. Li abbiamo aiutati, ci siamo scambiati informazioni per diverso tempo: siamo persino venuti qui diverse volte, trovando un clima e vegetazione simili a quella terrestre. Poi ci siamo trasferiti definitivamente: volevamo fare un avamposto perché l’umanità potesse, un domani, aprirsi all’universo. Stiamo anche progettando la possibilità di fare delle colonie artificiali: qualcuna l’abbiamo fatta, anche se piccola, una specie di prototipo.”
Nakashima si alza e prende un modellino da un ripiano e lo mostra a Venusia.
“Ecco, questo è il modello della colonia che vorremmo costruire. Si chiamerà Side 1: vorremmo contattare un giorno l’ONU per avere i fondi necessari. Forse è una pazzia, ma chissà, credo che un domani sarà possibile fare molte colonie spaziali.”
“E’ il suo sogno” dice la moglie, sorridendo”e alla fine ha coinvolto anche me.”
Venusia è sorpresa: per una volta un contatto alieno non era stato di conflitto!
“Sei stata fortunata a trovarci qui. – continua il professore – Della colonia terrestre, siamo rimasti solo noi: tutti i nostri compagni sono tornati a casa, e tra qualche giorno partiremo anche noi. Ormai ho un po’ di anni, e vorrei passare i miei ultimi giorni sulla Terra. Ho raccolto tutte le informazioni che mi servivano, e con l’aiuto di Jimmy potrò analizzarle quando torniamo. Inoltre, lui non ha mai visto la Terra, e non vede l’ora di andare lì!”
“Non sei mai stato sulla Terra?” chiede stupita Venusia a Jimmy.
“No, sono nato qui. Ma ho letto e visto tanto della Terra che vorrei proprio vederla. Ho conosciuto il mio pianeta anche guardando i DVD di Goldrake dove ci sei anche tu!”
Venusia sorride imbarazzata. A quanto pare, Jimmy si è preso una bella cotta per lei!
“Ma cosa pensi di fare adesso, ragazza mia?” chiede Yumiko.
“Non so…è possibile contattare Fleed?”
“No, purtroppo ogni comunicazione è interrotta da diversi giorni. – spiega Nakashima – Temo che questo sia dovuto ai tuoi nemici. Inoltre, credo che sia meglio che tu non lo faccia. Se contatti Fleed, il nemico saprà che sei viva, saprà da dove hai chiamato e ti verrà a cercare. Non credo che una come Jezabel ti perdoni quello che le hai fatto.”
“Jezabel mi ha vista passare attraverso il teletrasporto. Quindi sa che sono viva.”
“Ti sbagli “ dice Jimmy “secondo i miei calcoli, quel macchinario dev’essere stato sottoposto a una tale tensione che sarà esploso istantaneamente mentre effettuava il teletrasporto. E’ molto difficile che Jezabel si sia accorta del trasferimento: l’esplosione è stata simultanea. La barriera che tu avevi messo ha sicuramente protetto tuo figlio e le ancelle, ma temo che non possa aver resistito all’azione di Jezabel. Avrà infranto la barriera e preso Rex.”
Allora Hadi, Ryui, Sara…ora che ci penso…che ne sarà stato di loro? Jezabel le avrà ammazzate?
“Ma Actarus sicuramente pensa che sono morta! Devo contattarlo in qualche modo!”
“L’unico modo è andare a Fleed di persona, visto che le comunicazioni sono tagliate.” dice Nakashima “Ma Fleed ormai è una zona sorvegliata, Jezabel ti scoprirebbe subito! Non credo che arriveresti viva laggiù!”
Venusia pensa all’incubo di ieri notte su Jezabel e le vengono i brividi.
“Maledizione, non so che fare…forse se vengo con voi sulla Terra?”
“Partiremo tra due giorni, ma ci vorranno uno o due mesi circa di viaggio. Non ti conviene.”
Venusia si stringe il pollice tra i denti, nervosa.
Cosa diamine si può fare? Pensa, trova qualcosa…devo salvare Rex entro questi dodici giorni!
All’improvviso le viene un’idea. Pazza, folle, ma a questo punto non ha alternative.
“Jimmy” dice Venusia” avevi detto che Jezabel comanda delle Amazzoni, mi pare?”
“Certo.”
“Dove sono, lo sai?”
“Nella zona d’ombra, al pianeta Acheronte, dove c’è l’Oscuro. Perché?”
Venusia riflette, senza rispondere.
“Accettano candidati?”
“Cosa?” esclama Jimmy, spaventato.
“Rispondimi, per favore. Accettano candidati?”
Jimmy, perplesso, consulta il computer.
“Sì, al pianeta Bespin c’è un centro di reclutamento delle Amazzoni. Puoi raggiungerlo in una giornata di viaggio. Non penserai mica di andar lì come candidata, spero.”
“E’ l’unico modo per raggiungere alla svelta Rex e salvarlo da quella pazza.”
“Jezabel sarà una pazza, ma tu non sei da meno, visto quello che vuoi fare!”
“Non ho scelta” risponde decisa Venusia.
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(NOTA: Nella prossima puntata, Fleed chiama Terra.
Se volete scaricare la puntata in formato word, qui sotto c'è il link.
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Edited by joe 7 - 23/6/2014, 14:35
 
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