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KOJIMANIACA's Graphic Novel: Un destino già tracciato

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kojimaniaca
view post Posted on 11/9/2007, 21:08 by: kojimaniaca     +1   -1




CAPITOLO VI°: "Insonnia"

Seduta davanti allo specchio, Sayaka passava meccanicamente la spazzola tra i capelli, tenendo lo sguardo basso per eludere la propria immagina riflessa.
Sapeva già quello che avrebbe visto: il viso tumefatto e quel livido che dall'occhio destro le copriva gran parte della guancia; non voleva guardare, non voleva vedere quello che Koji le aveva fatto...
Un lampo, seguito a breve dal rombo di un tuono, squarciò per un istante l'oscurità fuori dalla finestra della sua stanza.
Era passata da un po' la mezzanotte, ma Sayaka non aveva sonno, appoggiò la spazzola sul tavolino di fronte a lei e s'alzò dalla sedia per andare a guardare fuori.
L'aria era carica di elettricità: stava per avvicinarsi un temporale ed infatti poco dopo la pioggia prese a tamburellare furiosamente contro i vetri, trasportata dalle folate di vento.
Sayaka seguì quasi affascinata le gocce che scivolavano lungo quella superficie liscia e trasparente, creando fantastici arabeschi.
Un'altra saetta illuminò il paesaggio esterno come il flash di una macchina fotografica e quasi contemporaneamente esplose il tuono, facendo sussultare la ragazza colta alla sprovvista.
Sayaka rabbrividì e si strinse nel golfino di colore azzurro che indossava sopra i calzoncini di jeans
"Koji..." pensò "Dove sei?"
Erano passati già due giorni dagli avvenimenti che avevano sconvolto la routine all'interno dell'Istituto, ma di Koji ancora nessuna traccia, nonostante le estenuanti ricerche effettuate attorno al monte Fuji, in particolare nella zona in cui era stato rilevato l'ultimo contatto radar con il Kaiserpilder.
Era come se il ragazzo ed il suo velivolo fossero spariti nel nulla: nessun segnale rintracciabile, nessun indizio, niente di niente.
L'angoscia di non sapere nulla sulla sorte di Koji era un qualcosa di insopportabile.
Sayaka non riusciva ancora a capacitarsi di quanto era successo, non poteva credere che il ragazzo si fosse trasformato in quell'essere spaventoso; il ricordo di quello sguardo agghiacciante ed inumano era ancora vivido nella sua memoria.
A quel pensiero la ragazza vacillò, colta da una lieve vertigine: era esausta, impaurita ed esausta.
Decise di sdraiarsi un po' sul letto.
Rimase ad occhi chiusi per qualche minuto, ma senza riuscire a prendere sonno, giacché la mente continuava a rivivere come in un film quei terribili momenti.
"Sono stata fortunata" pensò sfiorandosi l'ecchimosi sul viso
Anche Boss se l'era cavata con poco: un paio di costole incrinate, qualche livido ed un grosso spavento.
A Tetsuya invece era andata peggio.
Dopo i primi accertamenti, gli era stata riscontrata una commozione cerebrale dovuta ad un forte trauma cranico.
Era stato così necessario un delicato, quanto tempestivo intervento chirurgico per rimuovere l'ematoma ed ora il giovane giaceva in stato di coma nel reparto rianimazione del centro medico.
Sayaka aprì gli occhi ed il suo pensiero corse inevitabilmente a Jun.
S'alzò dal letto e sicura di trovarla al capezzale del ragazzo, decise di raggiungerla, così infilò un paio di ciabatte ed uscì dalla propria stanza.


Il rombo del tuono aveva scosso Jun dal torpore in cui era scivolata, facendola sobbalzare dal piccolo divano sul quale s'era accomodata al fianco del letto di Tetsuya.
Controllò l'ora: mezzanotte e venti.
Doveva essersi appisolata per alcuni minuti e la leggera coperta nella quale stava avvolta poco prima era scivolata a terra.
La raccolse e vi si avviluppò nuovamente, ricavandone un vago senso di protezione, poi volse lo sguardo verso Tetsuya steso immobile nel suo giaciglio.
Il ronzio ed il pulsare ritmico dei macchinari, che sostenevano e monitoravano le funzioni vitali del giovane, erano gli unici rumori a rompere il silenzio della stanza appena illuminata.
Jun osservò pensierosa il volto esangue e la fasciatura candida che avvolgeva il capo di Tetsuya...aveva un'aria così indifesa da stringerle il cuore.
Allungò una mano fino a sfiorare delicatamente con un dito quel profilo volitivo.
Per un attimo le sembrò di scorgere un leggero fremito su quelle palpebre chiuse, ma probabilmente era solo il frutto della sua immaginazione, dettato dal desiderio di vederlo riprendere conoscenza.
La ragazza sospirò brevemente.
Un infermiere fece il suo ingresso nella stanza, controllò la flebo ed il funzionamento dei vari macchinari, quindi uscì rapido e silenzioso com'era entrato, lanciando un sorriso discreto all'indirizzo di Jun.
Sulla soglia incrociò Sayaka che invece stava entrando
- Ciao Jun - esordì a bassa voce la ragazza avvicinandosi al letto - Volevo vedere come stava Tetsuya -
- Sayaka! - esclamò sorpresa Jun - Che ci fai qui a quest'ora? -
- Non riuscivo a dormire ed allora ho pensato che magari ti andava un po' di compagnia - rispose Sayaka con un sorriso un po' forzato.
Jun la scrutò attentamente: la ragazza aveva l'aria stanca e tesa
- Capisco...- le disse poi - Dai vieni qui! -
Jun le fece cenno di sedersi e contemporaneamente si scostò per farle spazio sul divano.
Sayaka s'accoccolò a fianco dell'amica e Jun divise la coperta con lei.
Rimasero così per alcuni minuti, senza parlare, ognuna immersa nei propri pensieri.
- Allora come sta? - chiese poi Sayaka interrompendo quel silenzio ed indicando con un cenno del capo Tetsuya
- Nessun cambiamento finora - rispose stancamente Jun - L'intervento per rimuovere l'ematoma è andato bene, ma i medici non vogliono ancora pronunciarsi, aspettano che Tetsuya esca dal coma, sempre se ne uscirà...-
Sayaka avrebbe voluto rassicurarla in qualche modo, ma non le vennero in mente che frasi banali e di circostanza, così preferì tacere, limitandosi a posarle una mano sulla spalla
- Hai notizie? - chiese ad un certo punto quasi imbarazzata Jun - Di Koji intendo...- continuò fissando un punto imprecisato sul pavimento.
Sayaka scosse la testa in segno di diniego.
Fra le due calò nuovamente il silenzio, stavolta cupo e carico di emozioni non espresse.


Tetsuya conosceva bene quell'edificio, aveva percorso quei corridoi centinaia di volte ed anche adesso sapeva perfettamente dove stava andando.
Il luogo era deserto ed il rumore dei suoi passi risuonava sinistramente nel silenzio assoluto che vi regnava. Avanzava senza esitazione, spinto da una volontà più forte della sua, ma era consapevole, mentre si guardava attorno sconcertato, che qualcosa non andava.
Dopo aver camminato a lungo ed aver imboccato infine un breve corridoio, si trovò di fronte ad una porta automatica, che si aprì davanti a lui con un leggero fruscio rivelando il vano circolare di un ascensore.
Tetsuya esitò, fermandosi sulla soglia, improvvisamente sopraffatto da una moltitudine di ricordi drammatici e dall'amara consapevolezza che non poteva essere lì, perché quel luogo non esisteva più.
Le immagini indelebili della crudele battaglia, in cui la Fortezza delle Scienze era stata distrutta dalle nuove armate di mostri bio-meccanici del Dottor Hell e l'uomo che amava come un padre era rimasto ucciso, scorsero impietose nella sua mente.
Serrò convulsamente i pugni, trattenendo a stento le lacrime, poi scrollò rabbiosamente la testa come a voler scacciare quei pensieri molesti e s'infilò rapidamente nell'ascensore.
La porta si richiuse alle sue spalle ed in pochi secondi raggiunse la sala di controllo.
Si guardò attorno: anche lì non c'era nessuno ed il giovane avanzò verso il centro della stanza inondata dalla luce del sole, che pioveva calda dalle ampie vetrate.
Da lì si poteva godere di una splendida vista sull'oceano, che si estendeva placido fino all'orizzonte, sotto un cielo senza nuvole e di un azzurro intenso.
In quell'atmosfera quasi incantata, Tetsuya provò per un attimo una serenità mai conosciuta prima ed il volto gli si distese involontariamente in un sorriso, poi avvertì chiaramente una presenza alle sue spalle.
Ancora prima di voltarsi sapeva benissimo chi si sarebbe trovato di fronte: si girò lentamente, quasi con timore e lui era lì.
- Direttore... - mentre pronunciava quella parola, Tetsuya percepì un lieve tremito nella propria voce, poi l'emozione gli impedì di dire altro.
L'uomo emerse dal fondo della sala in ombra, fermandosi ad un passo da lui.
Il giovane guardò incredulo quel volto che conosceva così bene: lo sguardo un po' severo, la cicatrice sulla fronte...Kenzo Kabuto gli sorrise e lo attirò a sé, cingendolo in un abbraccio.
- Figlio mio - gli disse
D'impulso Tetsuya s'irrigidì, non abituato a certe manifestazioni d'affetto, ma poi s'abbandonò con il cuore in tumulto fra quelle braccia di cyborg, ricambiando timidamente quel gesto che infondo aveva agognato da sempre.


- Non è possibile! - il professor Yumi battè rabbiosamente i palmi delle mani sulla scrivania del suo studio, sulla quale faceva bella mostra una mappa dettagliata della zona attorno al Fuji.
Ritto di fronte a lui, il tenente dell'esercito Tatsuo Harada taceva, fissando imperturbabile lo sfogo dello scienziato.
- Koji non può essere sparito così senza lasciare traccia! Siete sicuro di aver controllato accuratamente l'area dove è stato rilevato l'ultimo contatto radar? - incalzò Yumi indicando il punto sulla carta topografica. Un lampo di stizza s'accese negli occhi dell'uomo in divisa, ma non lo diede a vedere
- Stia calmo professor Yumi, i miei uomini stanno facendo del loro meglio, la zona è stata setacciata palmo a palmo con tutti i mezzi disponibili - replicò in tono piatto Harada
- Lei non capisce, non abbiamo tempo da perdere! Il mio ragazzo è là fuori da qualche parte in chissà quali condizioni, è di vitale importanza ritrovarlo al più presto! - continuò Yumi fissando negli occhi quell'uomo alto dalla faccia di pietra, i capelli brizzolati portati cortissimi ed il fisico asciutto.
Harada sedette su una sedia e con gesti misurati si accese una sigaretta rimanendo in silenzio.
Guardò fuori dalla finestra: il temporale era passato da un po' ed il cielo si stava rasserenando, lasciando intravedere la luna in fase calante.
Erano quasi le due di notte e quella conversazione si stava dilungando un po' troppo per i suoi gusti.
Alzò lo sguardo sino ad incontrare quello di Gennosuke Yumi e fece un mezzo sorriso a labbra serrate
- Mi stia a sentire Yumi, voglio essere franco con lei, a questo punto ormai ritengo che sia inutile avere fretta. Sono già passati due giorni e se il giovane Kabuto è stato ferito come lei dice, ci sono poche speranze a mio avviso di ritrovarlo vivo - disse freddamente Harada alzandosi dalla sedia e spegnendo la sigaretta in un posacenere.
Il professor Yumi impallidì senza riuscire a commentare in alcun modo.
Purtroppo era vero...quante speranze c'erano di ritrovare Koji ancora in vita?
Fu ancora Harada a parlare, proseguendo con quel tono indifferente che lo scienziato cominciava a detestare
- All'alba riprenderemo le ricerche spingendoci ancora più a ovest - disse indicando la mappa - Questa è un'area impervia, boscosa e poco abitata, fatta eccezione per alcune fattorie. Il ragazzo potrebbe aver tentato un atterraggio di fortuna da quelle parti -
Detto questo voltò la schiena al professore ed uscì a passo fermo dalla stanza senza aggiungere altro.
Gennosuke Yumi lo seguì con lo sguardo finché la porta automatica si richiuse alle sue spalle, quindi sedette stancamente alla scrivania togliendosi gli occhiali e posandoli accuratamente in un angolo di quest'ultima. Lo scienziato appoggiò poi i gomiti sul ripiano, prendendosi la testa tra le mani in un gesto di totale sconforto.


Quella notte il dolore al braccio destro era davvero insopportabile e Daisuke s'alzò dal letto ormai rassegnato a passarla in bianco.
Si liberò dal groviglio delle lenzuola e senza accendere la luce, con addosso solo i pantaloni del pigiama, spalancò la porta-finestra ed uscì sulla terrazza.
Dopo il temporale di qualche ora prima, il cielo era particolarmente terso e l'afa che aveva caratterizzato i giorni precedenti era sparita, lasciando il posto ad un vento fresco e piacevole.
Daisuke respirò a pieni polmoni quell'aria in cui si percepiva ancora il sentore della pioggia, poi s'appoggiò al parapetto e guardò in basso, verso il fiume che scorreva impetuoso sotto il Centro di Ricerche Spaziali.
In quel punto il corso d'acqua veniva convogliato nelle enormi condotte di una diga, per poi venire rilasciato più in basso e continuare la sua corsa verso la pianura.
Poco distante si udiva lo scrosciare costante di una cascata.
Una fitta improvvisa al braccio gli strappò un breve lamento, accompagnato da una smorfia di dolore ed istintivamente si massaggiò con la mano sinistra la parte dolente, constatando che era piuttosto calda al tatto.
Rientrò in stanza per poi recarsi in bagno, accese la luce e guardando nello specchio osservò attentamente quella lunga cicatrice, che dalla spalla gli arrivava quasi fino al gomito: in quel punto il braccio era gonfio ed arrossato.
Daisuke fece scorrere un po' d'acqua fresca nel lavandino e poi bagnò a più riprese quello sfregio, ricavandone un po' di sollievo.
Era da molto tempo che quella vecchia cicatrice non lo faceva più soffrire, tanto che se ne era quasi dimenticato ed ora invece riecco quel dolore che conosceva così bene.
Sapeva che sarebbe durato per qualche giorno per poi sparire fino alla successiva ricaduta, ci era abituato e sapeva anche che prima o poi, quella ferita causata da una potente scarica di raggi vegatron lo avrebbe portato alla morte, lentamente, inesorabilmente.
Era come avere in corpo una bomba a tempo pronta ad esplodere, sarebbero potuti passare mesi, oppure anni, ma quel giorno sarebbe arrivato.
Genzo Umon stava cercando alacremente una cura in collaborazione con il dottor Musashi Yamamoto, il medico che aveva curato le ferite di Daisuke quando era precipitato sulla Terra.
Al momento avevano trovato il modo per tenere sotto controllo la situazione, praticando periodicamente sul braccio del ragazzo dei cicli di radioterapia, ma era comunque una soluzione temporanea.
Il dolore profondo e bruciante si fece sentire con una nuova fitta, Daisuke sospirò tenendosi il braccio stretto al petto.
Di certo però questa non era l'unica cosa a tenerlo sveglio quella notte, ma anche la presenza qualche stanza più in là di quel misterioso ragazzo, che lui e suo padre avevano soccorso, ormai in fin di vita, un paio di giorni prima.
Viste le condizioni critiche in cui versava, lo avevano trasportato nel posto più vicino al ritrovamento, ovvero al Centro di Ricerche Spaziali, dove il dottor Yamamoto se ne era preso cura assieme alla sua equipe, nel piccolo ma attrezzatissimo reparto medico.
Genzo Umon aveva fatto poi recuperare il velivolo con cui il giovane era precipitato nel bosco ed ora stava indagando sulla sua identità, mantenendo a scopo precauzionale il massimo riserbo sull'accaduto, anche con le autorità.
Prima voleva vederci chiaro e l'esperienza simile avuta con Daisuke, gli aveva insegnato ad essere cauto. Chi era quel ragazzo? Perché aveva delle ferite d'arma da fuoco? Che razza di velivolo era quello che stava pilotando? Lo scienziato voleva dare innanzitutto risposta a tutte queste domande.
Daisuke comunque non era tranquillo e quella sensazione d'inquietudine che lo perseguitava ormai da giorni era aumentata con l'arrivo del giovane sconosciuto.
Quel ragazzo in qualche modo lo turbava, poiché percepiva in lui qualcosa di "sbagliato" che non riusciva a decifrare.
Ripensando adesso alla prognosi espressa dal dottor Yamamoto, Daisuke provava quasi un senso di sollievo: il ragazzo era grave e le possibilità di sopravvivere molto scarse.
- E' assurdo! - mormorò il giovane fleediano - Come posso pensare una cosa simile?-
Daisuke guardò il proprio volto riflesso nello specchio con un misto di stupore e rabbia: come poteva considerare anche solo lontanamente quell'idea? Come poteva desiderare la morte di una persona che neppure conosceva?
- Perché così dev'essere! - il giovane udì chiaramente quelle parole uscire dalle proprie labbra, ma fu come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro.
Daisuke rabbrividì incredulo.


Contemporaneamente, in un hangar sotterraneo ricavato da una delle tante grotte naturali che stavano nelle immediate vicinanze del Centro, Genzo Umon stava osservando pensieroso quel velivolo di colore rosso che aveva fatto recuperare dal luogo dell'impatto.
Dopo aver inutilmente tentato di prendere sonno, lo scienziato era sceso lì sotto in solitudine, per fare due passi e dare un senso ai pensieri che gli si accavallavano nella mente.
Sfiorò distrattamente con la mano quella particolare lega metallica, seguendone quasi con piacere le forme aereodinamiche e meravigliandosi nuovamente del fatto che, nonostante lo schianto, lo scafo non presentasse alcun danno strutturale visibile.
Umon era preoccupato e non sapeva come comportarsi: una breve ricerca personale, nata in seguito ad un'intuizione, lo aveva portato a scoprire l'identità del ragazzo ferito, ma ora non aveva idea di come gestire la situazione.
La soluzione appariva semplice: prendere direttamente contatto con il professor Yumi all'Istituto di Ricerca Fotoatomica, che conosceva solo di fama ed avvisarlo di quanto successo, oppure rivolgersi alle autorità e lasciare che se la sbrigassero loro.
Per chissà quale motivo però non trovava né la volontà né il coraggio per farlo, si rendeva conto che era un comportamento irrazionale e che non era da lui, ma quella era la realtà dei fatti.
Così aveva tenuto per sé quell'informazione, aspettando che arrivasse il momento opportuno, limitandosi a raccomandare al personale del Centro discrezione e segretezza in relazione alla presenza del giovane nella struttura.
In quel momento però Genzo Umon decise di condividere con Daisuke la sua scoperta e di valutare assieme quale comportamento adottare.
Lo scienziato lasciò l'hangar un po' più sereno.


Erano rimasti così per un tempo imprecisato, avvolti, quasi protetti dalla luce dorata del sole, che aveva creato attorno a loro un'aura soprannaturale, quando infine Tetsuya si era sciolto a malincuore da quell'abbraccio, tornando a fissare negli occhi Kenzo Kabuto.
- Tu...come puoi essere qui? Tu sei morto... - mormorò il giovane ancora confuso per quello che gli stava accadendo.
Un'intuizione ed il ricordo di quanto era successo nella stanza di Koji, riaffiorò improvvisamente nei suoi pensieri
- Allora sono morto anch'io - continuò con quella che voleva essere una domanda e che invece risuonò come un'affermazione.
Stranamente quella prospettiva non lo sconvolse più di tanto.
- Tetsuya, figlio mio - ripeté Kabuto prendendo con affetto la testa del ragazzo tra le mani e guardandolo serio.
Il giovane sentì il proprio cuore sussultare quando udì quell'uomo chiamarlo nuovamente "figlio mio"
- Ascoltami attentamente Tetsuya, perché da quello che sto per dirti dipenderanno probabilmente le sorti dell'umanità intera - continuò Kabuto in tono grave
Tetsuya lesse in quello sguardo un'angoscia infinita ed ebbe paura, ma quando parlò la voce era ferma
- Ti ascolto - disse - Ti ascolto...papà -



Daisuke era in piedi a fianco del letto in cui giaceva inerme e privo di conoscenza il giovane sconosciuto, scrutando attentamente quel volto terreo alla ricerca di quel "qualcosa" che lo inquietava così profondamente.
Era quasi l'alba ormai, quando il giovane fleediano spinto da un impulso irrefrenabile, si era vestito ed era uscito dalla propria camera, per recarsi nel reparto medico ed infilarsi di soppiatto nella stanza del ragazzo ricoverato.
Non lo aveva visto nessuno, nemmeno l'infermiera di guardia, che vinta dalla stanchezza del turno di notte, si era appisolata appoggiata al tavolo che stava nell'anticamera.
Daisuke poteva vederla attraverso la parete a vetri che separava le due stanze, le lanciò un'occhiata per assicurarsi che non si fosse accorta di nulla e poi tornò a concentrare la propria attenzione sul degente, il cui petto si alzava ed abbassava ritmicamente aiutato da un respiratore artificiale.
A fianco un altro apparecchio monitorava il battito cardiaco, scandendolo con un breve suono metallico: pin...pin...pin...
"FALLO ORA!" tuonò una voce sconosciuta nella sua testa
...pin...pin...pin...
-NO!- esclamò Daisuke scuotendo la testa - NON POSSO!-
pin...pin...pin...
"DEVI farlo, altrimenti le persone che ami moriranno e tu sarai nuovamente SOLO...non hai scelta"

pin...pin...pin...
Qualcosa lo costrinse ad avvicinarsi ulteriormente al letto, guardò il tubo infilato nella bocca socchiusa del ragazzo per permettergli di respirare e prima di rendersene conto ne staccò il raccordo con il respiratore artificiale.
Si udì un sibilo e la macchina cominciò a segnalare il malfunzionamento con un suono acuto e continuo.
Koji sbarrò gli occhi emettendo un debole rantolo e con uno scatto repentino della mano destra afferrò il polso di Daisuke stringendolo convulsamente.
Per una frazione di secondo Daisuke si ritrovò a fissare due occhi neri come la pece e freddi come una lama d'acciaio, ma poi vide soltanto lo sguardo terrorizzato di un ragazzo agonizzante.
Daisuke si divincolò in tutta fretta da quella presa, indietreggiando verso la porta, scioccato ed incredulo per quanto aveva fatto.
Anche il rilevatore del battito ora emetteva un unico suono continuo, segnalando la cessazione dell'attività cardiocircolatoria.
L'infermiera, risvegliata dal trambusto, si era precipitata nella stanza, senza nemmeno accorgersi della presenza di Daisuke che si era nascosto prontamente dietro la porta aperta e, dopo aver lanciato l'allarme all'equipe medica, aveva cominciato da sola le procedure di rianimazione.
Approfittando di quel momento, Daisuke uscì non visto dalla stanza e dal reparto medico, quindi, correndo come un pazzo, lasciò il Centro, saltando sulla jeep e dirigendosi a tutta velocità verso la fattoria Shirakawa.
Mentre viaggiava, il vento gli sferzava il volto contratto in una smorfia di disgusto
- Cosa ho fatto? Mio Dio che cosa ho fatto? - continuava a ripetere tra sé e sé.
Verso est il sole cominciò a sorgere indifferente, illuminando con la sua luce rosata le cime degli abeti che costeggiavano la strada.

Edited by kojimaniaca - 13/10/2009, 22:54

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