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H. Aster
view post Posted on 6/11/2007, 21:48 by: H. Aster     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Verona, città di Emilio Salgari.

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CHI BEN COMINCIA…

– Professoressa… permette una domanda?
– Ma certo, Anna – Silvia alzò il viso dai fogli che stava esaminando.
– Ecco… mi chiedevo… ci occorre un pilota per il robot, ma… perché proprio lui?
Silvia esitò un solo istante: – È stato la scelta migliore.
– Ma, scusi – intervenne Rizzo, il suo assistente – non è stato anche l’unico a presentarsi per quel compito?
Silvia si tolse gli occhiali, li ripulì accuratamente e li rimise, prima di dardeggiare sul suo giovane sottoposto l’occhiata laser per cui era famosa – Già, l’unico. Per questo è anche stato la nostra scelta migliore. Altre domande?
Rizzo ed Anna si guardarono prima di rispondere in coro che no-o, non ne avevano più. Silvia allora sedette al suo tavolo e si mise al lavoro.
Anna, ventotto anni e un placido, gallinaceo cervellino celato sotto una massa riccioluta di capelli castani, si voltò verso Rizzo: – Ma perché credi che non si sia presentato nessun altro pilota per il nostro robot?
– Semplice – lui si passò una mano sulla zucca pettinata alla Kojak – Quanti conosci che siano disposti a far volare un robot che si chiama Guttler-X?
Qualcosa parve risvegliarsi nei neuroni di Anna: – Oh, ah. Certo, Gutta…
Guttler! – corresse seccamente Silvia, dalla sua scrivania – Si chiama Guttler, ricorda. Qualsiasi commento su quel nome…
– Via, professoressa – Rizzo sorrise, disarmante – Non è colpa nostra se lo hanno chiamato così.
– Infatti – convenne Silvia – Noi abbiamo dovuto accettare le cose come stanno, visto che il robot è stato progettato e finanziato da altri, mentre il nostro compito è solo renderlo operativo. Per cui, niente ovvie battute di genere gastro-intestinale. Siamo intesi?
– Certo – Rizzo ammiccò ad Anna: la leonessa s’era ammansita, erano salvi – Chi si lascia scappare anche una sola parola di troppo sul Guttal… Guttler, paga il caffé a tutti.
– Perfetto – Silvia tornò al suo lavoro, ma non riuscì a concentrarsi.
Aveva quarantacinque anni, era una bella donna alta e bruna, era un brillante scienziato, occupava un posto di prestigio come responsabile di quel Centro di Ricerche nel nord Italia, aveva davanti a sé una carriera sfolgorante… e le era piombato addosso l’ingrato compito di dedicarsi ad un robot finanziato da una grande multinazionale farmaceutica famosa per i suoi prodotti anti stipsi.
Cosa avevano detto…? Il primo robot italiano, su modello di quelli giapponesi… anche noi avremo il nostro difensore… un gran momento per l’Italia…
Silvia guardò sullo schermo l’immagine del Gutta… Guttler (maledizione!). Ma perché era toccato proprio a lei? Aveva ricevuto congratulazioni ed incoraggiamenti: il suo nome sarebbe stato scritto con quelli degli scienziati più celebri, Umon, Kabuto, Saotome e Silvia Rossi. Il loro pilota si sarebbe coperto di gloria come Tetsuya Tsurugi e Koji Kabuto.
Rivide improvvisamente l’uomo in questione, l’unico che avesse accettato quel compito.
Silvia Rossi era una fredda, efficiente scienziata, abituata a controllare perfettamente le proprie emozioni.
Questo fu l’unico motivo per cui non pianse.


Trent’anni portati con festosa incoscienza, un’ampia camicia stampata a fenicotteri dai colori chiassosi, il giovane entrò a vele spiegate nella sala centrale dell’osservatorio travolgendo nel suo passaggio una pila di carte sulla scrivania di Anna.
– Scusa, tesoro! Li raccolgo io! – si chinò bruscamente, e le sue vastità inferiori entrarono in collisione con il bicchiere di succo di frutta di Rizzo (quel giorno, banane biologiche coltivate in Burkina Faso) – Ooops!
Un’esclamazione di genere escrementizio esplose dalla strozza di Rizzo, e Silvia lo fulminò con un’occhiata: – Bene, Rizzo, oggi il caffè lo offri tu.
– Ma professoressa, non stavamo parlando del Gutta… Guttler, voglio dire!
– Non voglio sentire nulla di argomento gastro-intestinale, lo sai – e lei tornò alle sue carte.
Il colpevole di tanto disastro era mortificato: – Mi spiace… adesso ti pulisco la scrivania…
– No, non preoccuparti! – lo arginò subito Rizzo – Il succo non è caduto lì!
L’altro si rasserenò: – Ah, meno male.
– È sgocciolato sulla tastiera… – gemette l’infelice; ma sottovoce. Non voleva rischiare d’essere aiutato.
Il nuovo venuto si guardò allegramente intorno: ci voleva ben altro che due sciocchi incidenti a togliergli il buon umore! Non per nulla, la sua gioiosa, inarrestabile vitalità gli era valso da tutti il nomignolo di Panzer, con cui era universalmente conosciuto. Questo secondo lui. Che l’origine di detto soprannome andasse ricercato invece nella prorompente vastità che gli debordava da sopra la cinghia dei pantaloni era invece la versione del resto del mondo.
– Allora, capo? Oggi è il gran giorno! – esclamò Panzer, fregandosi le mani e dedicando a Silvia una delle sue occhiate assassine, da vero acchiappafemmine quale lui si fregiava di essere. C’era poco da fare, quella bella donna alta e austera lo faceva impazzire. Anche se in quel momento lo stava guardando come se fosse stato un bacherozzo caduto nella sua insalata.
Gli occhiali di Silvia balenarono, funesti: – Panzer, ti ho già detto più volte di chiamarmi dottoressa, signora, professoressa, ma non capo.
– Va bene, prof.
– Siamo a scuola, adesso – bisbigliò Rizzo ad Anna, la voce abbastanza alta perché fosse perfettamente udibile.
Silvia inspirò, e i suoi assistenti avrebbero giurato in seguito d’averle visto sbuffare scintille dalle narici; poi, mostrando una calma ammirevole riuscì ad esprimersi con un tono di voce ancora abbastanza amabile: – Vai a prepararti, Panzer. Cominceremo l’esercitazione al più presto.
Lui le dedicò uno sguardo adorante: – Certo, prof.
– Ti abbiamo preparato una tuta e un casco nuovi, li troverai nello spogliatoio – continuò lei, sforzandosi d’ignorare quegli occhi da triglia bollita che non la lasciavano un istante – Oggi farai la prima esercitazione all’esterno del laboratorio. Vogliamo vedere come si comporta il Gutt… ler sul terreno accidentato. Dovrai far muovere il robot su prato, per cui andrai sui pascoli a mezza quota; poi proverai a fargli fare qualche salita.
– Certo, prof. Nella dotazione ci sono ramponi e piccozza? – chiese Panzer, che aveva un fine senso dell’umorismo.
Altra occhiata inceneritrice: – Non scherzare. Quest’esercitazione è molto importante, il Guttler potrebbe dover affrontare un nemico in un combattimento a terra. Dobbiamo valutarne la stabilità e la capacità di muoversi su qualsiasi terreno.
– Facciamo anche una prova delle armi? – chiese Panzer, impaziente di sparacchiare raggi e lanciare lame.
– No, non sono state ancora collaudate a dovere.
– Appunto, allora non sarebbe il caso di cominciare a farlo?
– Non oggi! – gli occhiali di lei emisero i sinistri bagliori delle grandi occasioni: – Ascoltami bene, Panzer: non userai le armi. In particolare, non devi PER NESSUN MOTIVO anche solo sfiorare il pulsante dei raggi GX.
Panzer pensò a quell’invitante tasto rosso che campeggiava nel bel mezzo della consolle, e sospirò: – Come vuoi, prof.
– Al tuo ritorno, preparerai un rapporto dettagliato sull’esercitazione.
– Sì, e poi ne parleremo insieme! – colse la palla al balzo lui – Conosco un ristorantino…
– Panzer – il tono di lei non ammetteva repliche – vai a prepararti.
– Subito, prof! Per stasera, come mi vuoi: elegante, casual, o preferisci qualcosa di più…
– Ssst! – Silvia si guardò rapidamente attorno e vide che Anna e Rizzo stavano lavorando alacremente alle loro postazioni, il che significava che non stavano perdendosi una parola; non volendo arrischiarsi ad andare fuori in corridoio e restare a tu per tu con Panzer, Silvia abbassò la voce riducendola ad un sibilo glaciale: – Non ho nessuna intenzione di uscire con te, né oggi né mai. Casomai non l’avessi notato, tu hai trent’anni, e io qua… qualcuno di più.
– Ma prof, a me piacciono le donne più vecchie – rispose candidamente lui.
Silvia era Silvia, e incassò quel complimento così fine: – Resta il fatto che sei rozzo, goffo, insopportabile, cialtrone e…
– Sexy? – chiese lui, speranzoso. Vide che lei aveva preso a guardarsi attorno in cerca di qualcosa di possibilmente grosso, pesante e spigoloso da scaraventargli sulla testa e pensò di rimandare a più tardi il corteggiamento – Vado, prof. – sgattaiolò verso la porta, voltandosi un attimo prima di uscire: – Riprenderemo il discorso stasera, a cena.
Sparì, mentre Silvia esplodeva in un termine che generalmente non è contemplato nel vocabolario della vera signora. Ripresasi, affrontò gli sguardi allibiti dei suoi assistenti: – Va bene, ho capito. Domani il caffè lo offrirò io.


La vasta epa fasciata dalla tuta rossa e bianca, un casco dagli stessi colori che gli proteggeva la pur dura cervice, Panzer sedeva trionfalmente nella cabina di pilotaggio del più straordinario robot che avesse mai calcato con le sue enormi fette il suolo veronese. Con la disinvoltura del vero esperto, Panzer faceva scorrazzare Guttler sui pascoli portando lo scompiglio tra le mucche, che fuggivano in un gran risuonare di campanacci.
– Che ne dici, prof? – gongolò Panzer – Funziona benissimo!
Rizzo guardò sullo schermo il Guttler saltabeccare di fratta in fratta e diede di gomito ad Anna: – Non ti pare che somigli ad Heidi?
– Ridi, ridi! – gridò Panzer – Resta il fatto che questo gioiellino va che è un piacere!
– È ancora presto per dirlo, l’esercitazione è appena cominciata – gli tarpò le ali Silvia.
Panzer eseguì una rapida giravolta, accennò un passo di danza e concluse con una piroetta: – Che ne dici, prof? Ti pare che il Guttler sia sufficientemente stabile?
Anna e Rizzo si scambiarono un’occhiata: buffone o meno, Panzer stava rivelandosi un pilota più in gamba del previsto.
Persino la gelida Silvia dovette ammettere che sì, l’esame stava andando veramente bene: – D’accordo, Panzer, la prova su prato possiamo considerarla superata. Adesso vorrei vedere il Guttler su un terreno ondulato.
– Ai tuoi ordini, prof! – Panzer si guardò rapidamente in giro. Alla sua sinistra il prato formava una salita, dolce prima e piuttosto ripida poi, andando a finire in una zona rocciosa: – Adesso faccio salire il Guttler e poi provo a scalare la montagna.
– Non esagerare – disse Silvia.
– Potrei scavalcare il monte e arrivare fino al lago – continuò l’incosciente.
Silvia sussultò, quasi avesse ricevuto un pugno nel pancreas. Il lago di Garda era dall’altro versante… ed era il culmine della stagione turistica…!
– Tu non farai niente di simile! – esclamò, decisa.
– Hai paura che non ci riesca, e che possa farmi del male? – giubilò lui – Sei così preoccupata per me che…
– Non sono preoccupata per te! – omise all’ultimo istante il “bestia” che le sarebbe venuto spontaneo – Non devi andare al lago perché c’è pieno di gente, laggiù!
– Bene, così facciamo un po’ di pubblicità al Guttler!
– Panzer! – esclamò lei, il tono che non ammetteva repliche – NO!
Era un “no” da non ignorare, anzi, da far scattare sull’attenti, questo persino Panzer lo comprese: – Va bene, prof, se proprio ci tieni non porto il Guttler al lago a fare il pediluvio. Sarà per un’altra volta. Adesso provo a salire.
Silvia riprese a respirare: per un attimo, aveva davvero temuto che quel pazzo… beh, questo era un problema che né il professor Umon né gli altri suoi illustri colleghi avevano: un pilota deficiente che fa pure il cascamorto.
Guttler cominciò a salire con insospettata agilità: era evidente che i suoi piedi facevano bene presa sull’erba, e che anche sul terreno accidentato il robot si mostrava stabile. Panzer guidava senza la minima difficoltà, sembrava che avessero progettato il robot proprio per lui… un uomo, una macchina… proprio come i suoi illustri colleghi, Daisuke Umon, Tetsuya Tsurugi, Koji Kabuto. Già si vedeva ammesso al loro olimpo, parlar loro da pari a pari, rispondendo con la naturale modestia che lo contraddistingueva.
“Sei in gamba, davvero.”
“Grazie, Tetsuya. Anche tu sei forte.”
“Posso stringerti la mano?”
“Ma certo, Koji.”
“Sarebbe per me un onore considerarti mio amico.”
“Per carità, Daisuke, l’onore è mio.”
Naturalmente (e qui gli occhi di Panzer ebbero un luccichio pericolosamente libertino), oltre che i piloti maschi avrebbe potuto avere una conoscenza ravvicinata, possibilmente mooolto ravvicinata, anche con le gentili signore: Venusia, Maria, Sayaka, Jun… si vide, coperto di gloria, circondato dalle quattro meravigliose fanciulle adoranti che facevano a gara per disputarselo, mentre in un angolo Silvia si sarebbe macerata cuore, fegato e pure milza dalla gelosia.
– Panzer! – la voce di Silvia lo fece precipitare dalle sue rosee nuvolette – Fai attenzione, la salita sta diventando piuttosto ripida.
– Niente paura, prof – Panzer rallentò la velocità e il robot s’inerpicò agilmente su per il pendio.
Dall’alto della montagna, il panorama era stupendo: sterminate distese di prati, boschi che spiccavano d’un verde più scuro, qualche malga che biancheggiava qua e là. Giù a valle, si stendeva il ridente paese di Caprino, quel giorno affollatissimo per la cerimonia che segnava l’inizio della Festa d’Agosto. Centinaia di persone si erano riversate laggiù; su un palco, un sindaco dalla pancia fasciata col tricolore avrebbe tenuto il suo discorso, alcuni notabili, tra cui una dignitosa nobildonna e un roseo monsignore, avrebbero onorato la sagra della loro presenza, una banda avrebbe suonato festosamente.
Panzer considerò il paese quasi con tenerezza: ma sì, festeggiate, divertitevi. Ci penseremo il Guttler ed io a proteggervi.
Mancavano pochi passi, e sarebbe stato alla sommità del pascolo, dove l’erba cedeva il posto alla roccia… e là era in attesa il Fato, sotto forma della vacca Bettina.


Bianca e nera, quadrupede. A prima vista, pareva una mucca esattamente come tante altre.
Così almeno apparve agli occhi di Panzer, che in lei vide solo un animale presumibilmente dotato di scarsa intelligenza e ancor più scarso coraggio, una bestia tanto idiota da non essersela data a zoccoli levati alla prima apparizione del terribile Guttler. Non s’accorse dello sguardo bieco che scintillava negli occhi del nobile animale.
Bettina vide invece in quello che era il suo pascolo un intruso prepotente, che aveva scacciato le sue amiche.
– Qualche problema? – chiese Silvia, vedendo Guttler arrestare la sua salita.
– Ma no, prof. È solo una mucca. Le altre se ne sono andate, ma questa qui sembra troppo idiota per scappare.
– Lasciala perdere, il collaudo che abbiamo fatto oggi è più che sufficiente.
– Voglio solo arrivare in cima, tutto qui – Panzer calcolò rapidamente le distanze: vide che la mucca era abbastanza lontana da non rischiare di venir schiacciata, e salì.
Bettina non perse tempo, e abbassata la testa attaccò con tutta la forza datale dal suo peso.
Guttler era un robot progettato per reggere ad urti ben peggiori di quelli causati dalla carica d’una mucca inferocita; disgraziatamente, una cornata assestata quando si è in equilibrio instabile può dare effetti inaspettati. Questo per spiegare perché il robot venisse sbilanciato all’indietro, aprisse le braccia nel vano tentativo di restare in piedi e infine rovinasse giù dal pendio insaccandosi vari metri più sotto.
– Panzer! Tutto bene? – esclamò Silvia, allarmata, mentre Rizzo ed Anna scattavano in piedi dalle loro postazioni.
– Tutto… anf… bene – rantolò Panzer – Ho solo battuto la testa.
– Poco danno, allora – commentò Rizzo, facendo ridacchiare Anna.
Faticosamente, il Guttler si rimise in piedi; voltatosi per valutare l’entità della caduta, Panzer vide la mucca scendere verso di lui, il campanaccio che mandava lugubri rintocchi.
Quella stupida bestia l’aveva fatto cadere! Ma adesso ci avrebbe pensato lui!
Guttler si mosse minacciosamente verso Bettina; per nulla intimorita, la mucca abbassò la testa e partì a tutta velocità, decisissima a farla pagare cara a quello spilungone che aveva invaso il suo territorio.
Qualche decina di metri separava il Guttler dalla sua avversaria. Panzer caricò a sua volta: la bestiaccia si sarebbe spaventata, che diamine!
Ma Bettina era Bettina. Continuò a correre a testa bassa incontro al nemico, che la schivò per un pelo e girò su sé stesso; Panzer vide che la mucca s’era rifugiata dall’altra parte di uno di quei laghetti che fungono da abbeveratoio, e ripartì di corsa. Guidò il Guttler verso la vacca, mise un piede nel laghetto deciso ad attraversarlo…
In genere, quei laghetti sono tutti poco profondi: uno, due metri al massimo.
Tutti, ovviamente, tranne quello.
Guttler affondò nell’acqua fino al ginocchio, cadde in avanti e scrosciò a terra mancando per un pelo Bettina, che con un aggraziato balzo si sottrasse all’appiattimento; Panzer venne sbattuto violentemente in avanti, e la sua testa ebbe un brusco impatto con la consolle… in particolare, con un certo tasto rosso e quadrato che per nessun motivo avrebbe dovuto venir premuto.
Gli occhi di Guttler s’accesero, ne scaturì un raggio brunastro che percorse pascoli e valloncelli andando infine ad investire il ridente paese di Caprino, con il suo sindaco, le sue autorità e la sua banda. Un istante dopo, qualche migliaio di persone venne irreparabilmente colpito dalle tremende radiazioni Gutta-X.
Silvia lanciò una serie d’esclamazioni, e i suoi assistenti seppero che almeno per i successivi sei mesi avrebbero bevuto il caffè gratis.


– Una vacca, una semplice vacca! – gemette il Presidente della multinazionale farmaceutica nemica della stipsi.
– In battaglia possono venire colpiti degli innocenti – osservò Silvia, ostentando una calma che non provava affatto.
– Ma questa era solo un’esercitazione, ed è costata tremilaquattrocentoventitrè vittime! Tremilaquattrocentoventitrè, tra cui un sindaco, un monsignore e una contessa! Un disastro!
– Non proprio – gli fece osservare Silvia, che sapeva sempre cogliere il lato utile delle cose – Adesso sappiamo che le armi di nuova generazione progettate da voi sono efficaci.
– Sì, con tremilaquattrocentoventitrè disgraziati che l’hanno testata di persona!
– Guardiamo le cose come stanno – tagliò corto Silvia – Voi avete inventato le radiazioni Gutta-X, armi non cruente che hanno lo scopo di mettere fuori combattimento il nemico senza ucciderlo… perché si presume che, quando è troppo occupato a diciamo concimare il terreno, anche il più agguerrito dei nemici sia costretto a calmarsi. Adesso siamo sicuri che le radiazioni funzionino perfettamente.
– Ne siamo sicuri tremilaquattrocentoventitrè volte!
– Infatti, adesso lo sanno anche tutti quei signori. La stipsi è un disturbo ostinato e comunissimo; pensate a quanti di loro si saranno sentiti finalmente liberati. Probabilmente molti potrebbero essere interessati alle radiazioni Gutta-X .
Il presidente aveva dentro di sé una percezione quasi extrasensoriale per gli affari. Guardò Silvia, poi parve riflettere febbrilmente… una buona campagna pubblicitaria… qualche slogan, “Gutta-X, scarichiamo i nostri problemi interiori”… legioni d’infelici cui finalmente avrebbe arriso un futuro di liberazione… e fiumi di denaro che avrebbero impinguato le casse dell’azienda.
– Un presidente abile può trasformare una sconfitta nella più fulgida delle vittorie – affermò infine. Pareva un uomo nuovo.
– Dovremo però modificare le radiazioni – osservò Silvia – Non credo che i clienti gradiscano un effetto così rapido.
Il presidente ripensò a quanto era successo laggiù in paese, dove tremilaquattrocentoventitrè persone erano state colte tutte insieme da un immediato, irrefrenabile ed incontenibile moto interiore, ed annuì gravemente: – Ci lavoreremo.
Si alzò, fece per uscire dall’ufficio di Silvia; poi si volse per un’ultima domanda: – A proposito, che ne è stato del pilota? Non ha subito gli effetti delle radiazioni, mi sembra.
– Oh, no, naturalmente lui non ne ha sofferto – purtroppo, aggiunse mentalmente Silvia – Comunque, non è qui. È stato richiamato ad altri incarichi.


Puzza, puzza, puzza.
Ovunque, maleodoranti montagnole. Ognuna di loro segnalava il posto esatto in cui s’era trovata una vittima al momento del disastro.
Scopa e paletta in mano, Panzer ne raccolse una e la versò nel bidone.
Duecentocinquantasei.
Coraggio.
Ne mancavano solo tremilacentosessantasette.
 
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5 replies since 16/10/2007, 22:08   501 views
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