INDICE:
Profugo/Prequel (5 cap.)
Il ritorno/Sequel
Con questo nuovo thread vorrei dare un minimo d'ordine e coerenza ai disegni e racconti scritti.
Anche se le immagini e le parole sono state concepite in momenti diversi, si riferiscono agli stessi eventi.
Nel
Prequel cerco di descrivere l'adattamento di Actarus alla sua vita terrestre.
Nel
Sequel riprendo alcune premesse del primo racconto ,ma sposto le vicende prevalentemente su Fleed.
Non postate nulla in questo thread ne ho aperto uno per i commenti.
Profugo/
Prequel(cap. I )
Maledisse il parafulmine che non aveva retto, la ditta che aveva costruito l’antenna, chi l’aveva progettata in quel modo…e quando non ebbe più con chi prendersela, inveì contro il temporale. Il passaggio della cometa, alla distanza minima dalla terra, era previsto per quella sera; con il satellite che avevano in orbita sarebbero stati i primi a ricevere le informazioni, le migliori informazioni. Il dott. Genzo Umon scese dall’auto e dopo i primi rapidi passi si avvicinò lentamente ai resti dell’antenna. Troncata malamente, giaceva a poca distanza dal ciglio della parete rocciosa.
Si fermò sotto la pioggia battente, inzuppandosi d’acqua, una parte dell’erba era stata spianata,ordinatamente ogni filo era poggiato sull’altro…
Qualcosa aveva distrutto la sua antenna e smussato i margini della roccia. Guardò giù, venti metri più sotto, il letto di un antico fiume, accoglieva un piccolo ruscello che scorreva indifferente alla presenza di alcuni massi recentemente staccatisi dalla parete. Un altro particolare era fuori posto: un uomo giaceva immobile sui ciottoli della riva.
Corse verso il fuoristrada, doveva avvisare il centro dell’accaduto, avviò il motore facendo retromarcia, scese per un tratto lungo il sentiero,quando il dislivello lo permise lasciò la strada per tagliare lungo il fianco della collina. La macchina si fece largo fra l’erba alta e radi alberi, la discesa divenne piuttosto ripida e accidentata, ma praticabile. Prese il cellulare per avvisare i suoi collaboratori, uno scossone glielo fece sfuggire di mano, lasciò perdere la chiamata e si concentrò sulla guida.
Stava andando tutto storto, ci mancava solo qualcuno, entrato senza permesso nell’area del centro ricerche per ammazzarsi con l’antenna.
Sterzò sulla sinistra entrando nel corso d’acqua, la parete rocciosa cominciò a crescere mostrando le fasce di sedimentazione obliqua di ere lontane, di tanto in tanto le linee si interrompevano lasciando spazio a grotte e anfratti ostruiti da vegetazione e radici.
Vide l’uomo immobile sui ciottoli, la pioggia scivolava dalla sua tuta, ‘uno speleologo?’ pensò. Che cosa ci faceva li? Non negavano mai l’ingresso ai visitatori e meno di tutti se erano dei ricercatori. Gli si avvicinò.
Il viso ne rivelò la giovane età, segnato da occhiaie scure e guance pallide e scavate. Cercò un segno vitale, tastandogli il collo, non sentiva nulla. Con estrema cautela allargò il colletto della tuta, il tessuto era cedevole e morbido con una qualità tattile che lo sorprese, gli sfuggì dalle dita, provò ancora, riuscì a sentire le pulsazioni, erano regolari non sembravano deboli, forse appena rallentate dallo stato d’incoscienza; fissò il tessuto che si era adagiato, rivelando pienamente la forma delle sue dita. Ritrasse la mano in un gesto istintivo. Per un attimo la sua mente cercò di elaborare la sensazione ma gli sfuggiva… si girò per tornare alla macchina e vide qualcosa.... in una grotta infondo al dirupo.
Due luci. Fece alcuni passi e queste presero una forma definita e decisamente aggressiva, illuminando una testa enorme, Umon ne fu affascinato, si avvicinò ancora e si bloccò pietrificato dalla sorpresa. Gli occhi brillarono con maggiore intensità illuminando la caverna e delineando il profilo di un disco. Che cosa stava succedendo?
Alle sue spalle i ciottoli fecero rumore sfregando fra loro e un lamento catturò la sua attenzione. Cautamente arretrò e vide con la coda dell’occhio il ragazzo tentare di rialzarsi e cadere ancora per rimanere immobile. Doveva soccorrerlo, ma aveva paura di dare le spalle al …si spostò lentamente, senza perdere d’occhio la grotta, non si muoveva più nulla ed i due occhi erano tornati nel buio. Nella sua mente si stavano agitando pensieri a cui non osava dare definizione…alla fine prese coraggio e soccorse il malcapitato.
Con un po’ di fatica lo caricò in macchina; non era uno speleologo.
Facendo rapidamente retromarcia continuò a controllare l’antro scuro in cui si riversava il piccolo fiume…qualsiasi cosa si nascondesse la dentro aveva reso chiaro il suo monito: bisognava stargli lontano.
Il passeggero si lamentò e Umon decise di portarlo al rifugio, vicino all’antenna distrutta, li avrebbe chiesto aiuto.
Entrando nella stanza Genzo girò il diffusore al minimo e accese la luce. Il ragazzo con uno scatto si tirò su malamente, con un secondo movimento cadde dal letto e tentò di rimettersi in piedi mentre le coperte attorcigliate gli impedivano i movimenti.
Rimase fermo ad osservare la figura smunta che si agitava, la paura gli aveva trasformato lo sguardo rendendolo singolarmente maturo. Si sentì disorientato da quel mutamento, mantenne la calma e cercò di parlargli per rassicurarlo.
- Sta calmo, ragazzo, nessuno vuole farti del male.- fece un passo verso il letto, tendendo la mano con il bicchiere d’acqua. Nella semi incoscienza in cui era stato, era riuscito a dissetarlo, poche gocce dispensate con prudenza, i segni della disidratazione erano evidenti quanto la paura. Spostandosi lentamente lasciò il letto come barriera fra loro. L’insolito ospite rimase rannicchiato fra letto e parete; fissandolo, cautamente prese il bicchiere d’acqua. Bevve un primo sorso, trattenendolo per qualche istante, Genzo ne fu rincuorato, il ragazzo era spaventato ,forse confuso, ma sicuramente padrone di se.
Posando il bicchiere per terra cominciò lentamente a districarsi dalle coperte.
Si chiese quali autorità avrebbe dovuto contattare. I capelli erano castano scuro, i tratti del volto proporzionati e regolari, ma gli occhi non erano asiatici e di un vivido blu. Ne aveva mai visti di quella sfumatura? Pensieroso, Umon si accarezzò i baffi; era alto, pensò ad un nord europeo, forse un…? Non riusciva a collocarlo geograficamente, eppure era sempre in grado d’indovinare la provenienza di una persona, una capacità che aveva sviluppato in anni di viaggi e conoscenze. La manciata di parole che aveva pronunciato nel torpore dell’incoscienza erano irrilevanti tanto più che infittivano i dubbi. Poi c’era il ‘disco’ vicino al fiume …una ‘nave’? Dalla ‘polena’ ‘insolita’?
Gli si avvicinò per aiutarlo , il viso era tirato, provava dolore e notò il sangue sul braccio destro. Era ferito? Lo aiutò a tornare a letto, non sembrava più tanto spaventato, solo esausto. Lasciò la stanza, tornando attimi dopo, con ciò che aveva in baita per il pronto soccorso.
Lo straniero assorbiva ogni suo movimento; preparò il disinfettante e prese le forbici, la tuta non aveva lacerazioni, non sapeva neanche come toglierla senza tagliarla.
La parte superiore sparì, una miriade di piccole squame si ripiegarono su se stesse.
Ignorò quello che aveva visto e lasciò perdere il disinfettante, avrebbe ripulito la ferita, sul braccio, con dell’acqua. Ignorò anche la stranezza della ferita, sembrava più una cicatrice.
Non avrebbe informato le autorità, una parte della sua mente gli aveva fornito le risposte, adesso spettava alla sua razionalità capire.
Finì di chiudere la fasciatura e gli fece bere ancora un sorso d’acqua. Il ragazzo lo guardò e puntando un dito su se stesso disse: - Duke.-
L’uomo gli sorrise – Umon.- era più abituato al suo cognome nelle presentazioni. ‘Che devo farne di te?’ pensò.
Un trillo destò l’attenzione di entrambi – Sta calmo, Duke.- lo rassicurò.
Che strana lingua, era così aspra e l’uomo era stato così gentile da soccorrerlo. Una forma umana non spaventava altri esseri umani.
Che posto era quello in cui si trovava? Una delle loro case? Oppure… no, c’erano solo lui e Umon nell’altra stanza che parlava attraverso un apparecchio. Alcuni oggetti riusciva a capirli, altri erano alieni…qualsiasi cosa gli fosse successa da quel momento in poi, non gli importava e Grendizer si sarebbe preso cura di se stesso, come aveva fatto quando era nelle mani di Vega. Adesso poteva riposare, non doveva più fuggire o combattere per rimanere vivo, non aveva più obblighi nei confronti di alcuno. Non aveva più nessuno. Era tutto finito, il tempo e lo spazio lo separavano da eventi a cui nessuno poteva porre rimedio.
Aveva detto il suo nome, come se avesse importanza ora, i nomi di tutti erano andati persi, con le loro vite. Nessuno avrebbe mai saputo nulla delle loro esistenze, nessuno avrebbe dovuto sapere nulla di lui. Si sentiva al sicuro perché era riuscito nel suo ultimo intento. Sereno si addormentò.
-……Yamada,si…l’intera struttura non ci sono possibilità di recupero; dovrete procedere come le altre volte.- il suo collaboratore rimase per un attimo in silenzio, riusciva ad immaginarselo, ma ormai era accaduto qualcosa di più importante. Non poteva spiegare in modo coerente, sapeva che il ragazzo da lui soccorso non apparteneva alla Terra. Era stato come incontrare uno straniero: fisicamente non c’erano diversità, ma qualcosa di sfuggente, che non si limitava agli abiti o alla lingua, lo rendeva riconoscibile per unicità.
- No, non questa sera, potete fare a meno di me…- in che modo poteva giustificare la sua assenza?
- No, Yamada, nulla di grave sono alla baita c’è stato solo un imprevisto.- gli venne da ridere. Il dott. Umon era un uomo ordinato, prevedibile, frasi di quel tipo erano assurde per lui; come suonavano per i suoi collaboratori? Cercò di normalizzare il tutto, dicendo che avrebbe lasciato acceso il cellulare e se proprio fosse indispensabile potevano raggiungerlo alla baita. Chiuse la telefonata, più irragionevole della sua vita, augurando un buon lavoro a tutti.
Attraverso la porta spalancata, vide la figura sul letto dormire, il torace si muoveva con regolarità, nuovamente chiuso nella tuta.
Aprì la porta d’ingrasso e uscì sotto il piccolo porticato, appoggiandosi ad una trave, diede una inutile occhiata al cielo serale, le nuvole erano ancora cariche di pioggia; la sua mente gli diede un istante di tregua per apprezzare l’odore dell’erba bagnata, subito dopo tornò alla carica: ma che gli passava per la testa, lasciare tutto così?
Era totalmente dedito al suo lavoro, raramente si concedeva una vacanza, i suoi spostamenti dal centro ricerche erano giustificati da convegni e poi lui non agiva mai d’impulso.
L’umidità dei vestiti che indossava si fece sentire e dopo i primi brividi rientrò. Il fruscio delle coperte, riportò la sua attenzione sul ragazzo. La figura si agitava con piccoli scatti della testa e degli arti, la strana lingua emergeva dal sonno. Si chinò per ascoltare meglio, non aveva mai sentito niente di simile, era al di fuori della sua esperienza, quei suoni lo inquietarono.
La sua razionalità si contorceva inutilmente da ore per capire cosa fare. Se prescindeva dai suoi numerosi dubbi e dalle poche certezze che la situazione aveva, doveva comunque prendere in considerazione il fatto che Duke era uno straniero, l’altro termine non gli piaceva , suonava fasullo; il dott. Umon non credeva a certe cose. Gli stava venendo mal di testa: aveva a che fare con un ‘clandestino’… maledisse nuovamente l’antenna: le autorità erano già state informate dell’accaduto.
Yamada e Haiashy dovevano dargli una mano.
Il ragazzo aveva continuato a dormire per tutta la mattina, non aveva toccato cibo al suo risveglio,ma aveva bevuto. La sera stava calando nuovamente e l’unica cosa che era riuscito a fare durante tutto il giorno era stato cambiargli la fasciatura al braccio. Dal centro lo avevano tempestato di telefonate, volevano delle spiegazioni che ora non intendeva dare.
Il Dr. Umon fissò l’uomo nello specchio del bagno,la camicia era sgualcita, i capelli brizzolati e corti avevano un ciuffo ribelle che segnava la notte passata sul piccolo divano, la barba che radeva ogni mattina gli sembrava terribilmente lunga. Si sentì sciatto e folle…e se fosse davvero stata una pazzia la sua? Si lavò il viso, il poco sonno della notte precedente si stava accumulando, passò le mani umide tra i capelli e cercò di darsi un minimo d’ordine con un pettine. Passando davanti alla camera da letto, guardò la figura rannicchiata che incurante di tutto dormiva. Preparò ancora una volta del brodo e svegliando con delicatezza Duke , cerco’ di farlo mangiare.
Umon fece entrare la luce del sole nella stanza ,doveva essere un uomo determinato,convinto di riuscire ad ottenere una sua reazione.
La sensazione non era male, riusciva a sentirne il calore sul viso.
Lasciò il giaciglio per avvicinarsi ai due riquadri nella parete e allungò una mano per sentire l’aria dell’esterno.
‘Strano’ pensò, quella superficie trasparente era solida. A che servivano quelle ‘aperture’ se non davano accesso all’esterno? Guardò il paesaggio era diverso dai tanti che aveva visto, ma la natura gli dava sempre un senso di rassicurante familiarità, era semplice da capire anche se le sue forme variavano di pianeta in pianeta.
Forse i riquadri erano una banale decorazione per la parete.
Umon continuava a parlargli con il suo tono calmo e avvicinandosi afferrò la parte centrale dei riquadri, che sporgeva e girandola aprì la parete lasciando entrare l’aria….
‘Strana apertura, chiusa…..’era inutile pensarci perché era strano tutto il posto e non aveva voglia di capirlo. Tornò la dove si svegliava coprendosi completamente con la stoffa calda, voleva solo dormire il suo sonno senza sogni, i suoi pensieri si erano sedati e prima o poi anche Umon avrebbe smesso di insistere.
Non poteva non avere fame, avrebbe potuto usarlo come spaventapasseri nella sua fattoria. Rimase con Duke quasi tutto il giorno, gli parlava,non che si capissero, ma almeno non sembrava infastidito. L’unica nota positiva era stata la finestra; però si rese conto che non doveva dare nulla per scontato con lui.
Di tanto in tanto il ragazzo si addormentava, non quanto il giorno prima; mangiò con lui, nella speranza d’essere imitato. A sera si sentiva frustrato da quella indolenza e irritato dalle telefonate.
- Forza , tirati su. – in parte era sorpreso da quel cambiamento, obbedì passivamente e si mise in piedi. Le parole erano incomprensibili, ma il gesto rapido ed il tono tagliente erano chiari. Gli girava la testa e Umon lo sostenne. Uscirono dalla stanza e fuori dalla casa…socchiuse gli occhi, la luce era forte e l’aria fresca e gradevole. Lo lasciò per un attimo seduto sotto il porticato tornando con il cibo. La fame lo aveva abbandonato da giorni, si sentiva indifferente e non sapeva come spiegarlo….
- Non so a cosa pensi, Duke, ma non tirarmi brutti scherzi. Devi rimetterti in forze ora!- gli aveva posato le mani sulle spalle e lo fissava con una tale intensità…
La sua mente ricordò un altro volto, ugualmente maturo, che era capace di parlargli con la stessa fermezza e premura.
Qualcosa mutò in lui e senza che potesse controllare le emozioni, queste riaffiorarono tutte. Fu scosso da un dolore profondo…
-Coraggio, figliolo, qualsiasi cosa sia devi continuare a vivere. Coraggio…- gli si sedette accanto, sul gradino, cingendogli le spalle e sperò che le lacrime, finalmente, lo ridestassero dall’apatia in cui si era rifugiato.
Aveva dato poche spiegazioni ai suoi collaboratori, tanto che pensava di non riuscire a gestire la situazione. Per fortuna, si era reso conto di non godere della semplice stima, ma anche della loro fiducia al punto da assecondare e colmare la sua assenza all’istituto sulla base di un : Non posso spiegare ora, ma vi dirò tutto prima possibile.
Il suo ‘prima possibile’ dipendeva da Duke…capiva, senza bisogno di spiegazioni, che era distrutto moralmente e fisicamente non andava tanto meglio. Lo aveva assecondato in un primo momento, ma dopo due giorni, senza mangiare, si sentiva in dovere di scuoterlo in qualche modo. L’aria aperta in quella giornata di sole ed i suoi modi avevano funzionato, sperava. Avrebbe voluto poter togliere una parte delle pene che stavano consumando il ragazzo…ma solo lui poteva aiutarsi, prima o poi doveva imparare a sopportare il peso delle sue esperienze, qualunque fossero.
( cap. II )
- Non è una buona idea lasciarlo in quella grotta, Duke.- disse Yamada – a giorni avremo un gruppo di speleologi ed è qui che si immergeranno.-
- C’è anche la polizia che farà una ispezione all’antenna…- spiegò lentamente Umon
- Sotto l’istituto, abbiamo il laboratorio dei satelliti è grande abbastanza e nessuno ci va senza autorizzazione. –propose Haiashi, - Può andare bene.-
Se ne stava seduto ad ascoltarli, aveva capito il senso generale del discorso: Grendizer. I tre uomini continuavano a fissare la mappa che rimaneva piatta e immobile sulla parete.
Haiashi e Yamada parlavano troppo in fretta per lui, Umon era più paziente.
Raccolse un paio di libri che aveva lasciato sul pavimento accanto al divano e li posò vicino al computer portatile, si alzò, per avvicinarsi ai tre, doveva chiedere spiegazioni.
Gli avevano procurato abiti del posto; la maglia andava bene era morbida, anche se non generava calore,lo tratteneva,come i pantaloni, però le scarpe erano davvero strane, bloccavano il piede e soprattutto facevano rumore ad ogni passo. Tanto per complicare qualcosa di semplice, sembrava che per ogni ambiente della baita ci fosse un abbigliamento da rispettare o qualcosa del genere. Voleva imparare più possibile, ma le informazioni erano davvero tante. Sapeva adattarsi velocemente a diversi modi di vivere, lo aveva fatto in passato, però questa volta le cose erano diverse, erano poche le similitudini a cui ancorarsi, ed aveva paura di dimenticare e fare, di conseguenza, qualcosa che mettesse in seria difficoltà chi lo aiutava. Destino o caso che fosse, il suo arrivo lì non era ordinario per nessuno di loro, ma era stata una fortuna insperata per lui, prima o poi avrebbe trovato il modo per sdebitarsi.
- Altra gente ?- chiese puntando il dito sulla mappa dove era nascosto Grendizer.
- Si e neanche tu puoi rimanere qui, ci sei stato anche troppo. Non puoi vivere isolato da tutti.- si fidava di Umon e concedeva una parte di quella fiducia ai suoi collaboratori, anche se non capiva bene cosa fosse ‘collaboratori’. Ormai non lo guardavano più come avevano fatto durante il primo incontro, sapeva che le loro occhiate erano di curiosità; non erano mai stati troppo invadenti, ma continuavano ad osservarlo, quando credevano di non essere notati. Adesso si erano abituati a lui, al punto che si dimenticavano delle difficoltà che aveva con la lingua, era incoraggiante. Sperava solo di non avere grossi problemi a contatto con altre persone.
- Allora…. Andiamo al centro, ci dirai se il laboratorio va bene per Grendizer.- tagliò corto il dott. Umon
I tre presero le loro giacche e Duke li imitò pensando: ‘ Ancora altri vestiti per l’esterno…’
Ci misero un bel po’ di tempo, a capire perché Duke trovasse il laboratorio dei satelliti tutt’altro che adatto, ad ospitare l’astronave. Grendizer era capace di difendersi, non in modo indiscriminato, ma selettivo e chiunque gli si fosse avvicinato e possedeva un intelletto umano, sarebbe stato attaccato. Fortunatamente la zona in cui sorgeva il cento ricerche era ricca di caverne nel sottosuolo, parte di esse erano già integrate nella struttura. Una volta individuato l’ambiente più grande, collegato al centro, ma non adoperato, non rimase altro che tracciare un perimetro di sicurezza, al di fuori del quale il dott. Umon ed i suoi collaboratori, avrebbero potuto osservare il mezzo, anche senza la presenza costante del ragazzo. In quel modo si sarebbe evitato un incidente ad opera di curiosi. Il trasferimento sarebbe avvenuto a notte fonda, i radar non erano un problema, andavano solo evitati gli sguardi umani.
Non restava che aspettare il calare del sole. C’erano alcune cose da sistemare al centro e il dott. Umon tentò, per quanto possibile, di rimettersi in pari con una parte del suo lavoro,sospeso, un mese prima, mentre Duke occupava il suo tempo con letture che abbandonava rapidamente…le riviste scientifiche non erano alla sua portata…
Il ritorno al centro per Umon fu una piacevole sensazione, un ritorno a ‘casa’; la scusa ufficiale, data dai suoi collaboratori, era un incontro con colleghi.
Inizialmente si era sentito a disagio, dovendo mentire in modo così spudorato, ma nessuno sembrava dubitare, sospettare. Duke mantenne un basso profilo. La sua presenza, a parte un paio di occhiate, però, non sembrava destare interesse.
Al dott.Umon non venivano fatte domande al di fuori dell’ambito lavorativo, era un uomo tutto sommato ‘banale’ in privato….tanto banale che poteva permettersi di nascondere un alieno. Un anonimato che avrebbe fatto comodo e protetto Duke. L’idea che si formò nella sua mente gli apparve come una specie di soluzione del destino, poteva funzionare; farlo passare per suo figlio, adottivo, ovviamente.
Aveva trascorso quasi un mese alla baita, un tempo sufficiente per capire che tipo di persona era il suo ospite ed alla fine doveva ammettere che Duke gli piaceva, aveva un buon carattere e si era guadagnato tutto il suo rispetto , chiedeva, apprendeva, aveva una mente agile e soprattutto era adattabile: la migliore qualità di qualsiasi essere vivente.
Cosa gli fosse successo rimaneva ancora un mistero, ma Umon non intendeva chiedere, aspettava una spiegazione. Solo una volta gli era capitato di pensare che il ragazzo poteva essere un fuggiasco, ricercato dalla sua gente, ma scartò l’idea; le condizioni fisiche e psicologiche in cui versava, quando lo aveva trovato, erano compatibili con una fuga, ma la personalità lasciava intendere tutt’altro.
In un primo momento decise di non incrociare lo sguardo di chi era nel centro, un atteggiamento dettato essenzialmente dalla prudenza, non sapeva fino a che punto il suo taglio d’occhi fosse consueto. Presto si rese conto che era inutile; gli occidentali non erano molti e lui era ‘uno di loro’ per chiunque.
Non era un ingenuo, aveva i suoi modi ed i suoi tempi per capire; era vigile e attento nei confronti dell’ambiente e di chi lo circondava. Ma una società è un organismo complesso, poteva tollerarlo o rifiutarlo e c’erano regole a cui sottostare.
La paura di essere scoperto rimaneva ed agiva in modo molto forte, meno lo notavano meglio sarebbe stato per lui e soprattutto per chi lo stava aiutando. Dare spiegazioni su di se e la sua provenienza non era il caso, almeno finche non fossero state sistemate alcune questioni legali….un aspetto,questo ,molto simile alle identificazioni che esistevano sul suo pianeta. Sperava solo che non fossero così precise, come su Fleed. Non aveva mai dovuto mentire sulla sua identità, ne avrebbe potuto, una questione che non riguardava solo la sua integrità morale,ma il suo stesso ruolo sociale; perso,ora, come il suo pianeta.
Il tempo trascorse veloce, senza rendersene conto, era stata una giornata piena ed era scivolato nella vecchia abitudine di annullarsi totalmente nel lavoro e quando tornò nel suo ufficio privato, trovandolo vuoto, si sentì improvvisamente in colpa. Richiuse la porta e si avviò lungo il corridoio,verso l’uscita. Una buona giornata lavorativa per Umon sicuramente era risultata una noia mortale per Duke…in che modo aveva trascorso il suo tempo? Mentre faceva il giro del recinto del centro, cercandolo, cominciò a domandarsi: dove avrebbe vissuto? che lavoro avrebbe potuto fare per mantenersi? quanto il suo essere straniero avrebbe inciso nel suo inserimento sociale? Cercò di accantonare quei pensieri, non era il caso di preoccuparsi, solo il tempo avrebbe risolto quegli interrogativi. Adesso doveva solo cercare di recuperare il divario di civiltà e rimettersi in sesto fisicamente. Umon lasciò l’area del centro e finalmente vide l’esile figura dell’alieno , seduto ai margini del bosco. Il senso di colpa tornò ad assalire l’uomo che promise a se stesso di non essere così distratto in futuro…
Lo raggiunse sedendogli accanto e notò che si era tolto le scarpe.
- Sono scomode?-
- Non danno movimento…devo abituarmi.-
- In città avrai più scelta.- Il suo collaboratore si era prodigato a comprare abiti e scarpe,ma queste ultime non le indovinava. Per Haiashi, Duke era un pilota, ed un taglio militare dell’abbigliamento era l’unica soluzione che gli era venuta in mente.
- In città avrò i documenti?-
- Si. Non puoi rimanere senza.- un buon hacker si stava già muovendo in quella direzione.
- Se è pericoloso…-
- Ne abbiamo già parlato, non va bene continuare a nasconderti. Dobbiamo solo decidere la tua età.- in quel momento cozzarono contro un nuovo scoglio, in un mare di differenze.
- Età.-
- Si, quanti anni hai?- era sicuro di avergli spiegato il calcolo del tempo in base alle orbite terrestri.
- Non usiamo i numeri…parole…per spiegare l’età.-
- Quanti anni hai vissuto, lo sai?-
- Contiamo il tempo… in modo diverso… i pianeti ed i soli si muovono in modo diverso. Gli anni non dicono…quello …che vivi.-
Il Dr. Umon pensò per un attimo ad alcune parole che usava in lingue straniere.
- Non puoi tradurre quelle parole?-
Duke lo guardò dubbioso.
- Non so, forse conoscendo meglio la lingua…quanti anni credi… che abbia?- chiese divertito
-……fra i diciotto e ventuno, ventidue non di più.-
- Sono tanti?- disse incerto.
- No,non molti, sembri piuttosto giovane. Quanti anni credi che io abbia?- provò a chiedere, sperando in una buona approssimazione.
Duke lo guardò attentamente e scuotendo la testa disse sorridendo. - Trenta, trentacinque…- Umon scoppiò a ridere .
- Non so come calcolare.- si giustificò Duke unendosi alla risata.
- Quanti me ne daresti secondo il tuo modo.- dovevano cercare di capirsi.
I due tornarono seri ed il ragazzo valutò attentamente i tratti del volto.
- Abbastanza,credo,…. per un figlio… della mia età.- lo scoglio era superato.
- Sono impressionati dalla rapidità con cui impari la lingua.- rise divertito – lo sono anch’io –
- La lingua…aiuta…a parlare con tanti.- Umon lo vide tornare serio.
- Conosci altre lingue?-gli chiese.
Duke fece cenno di si e la sua espressione cambiò; si pentì d’avere chiesto.
- Ora non servono a nessuno. Vega ha …tolto..tutto. Non ho un pianeta….. ho preso Grendizer…. perché lui poteva usarlo.- Stava ingaggiando una singolare battaglia, cercava di spiegare con le poche parole che padroneggiava e tentava di dominare il dolore che lo aveva quasi distrutto. Adesso, il dott. Umon cominciava a capire.
- Non bastava, non c’era più niente, nessuno da aiutare. Così ho portato via Gendizer…. Era l’ultima cosa che volevo.-
Guardava nel vuoto,con la fronte crucciata, si era strappato quelle parole e la sua amarezza era tangibile.
- Il mio pianeta e altri, molti altri, sono persi.- aggiunse ancora una parola, incomprensibile a qualsiasi orecchio umano, detta a mezza voce ed espressa con rabbia. Umon cinse le spalle del ragazzo, cercando di dargli un minimo conforto, ma gli sembrò una impresa impossibile; era difficile comprendere una guerra, la distruzione di un pianeta era ancora più dura da accettare,ma la distruzione di interi pianeti… aveva ragione , pensò, gli anni erano irrilevanti, una guerra faceva crescere e maturare in fretta ed il suo sguardo in quel momento non era quello di un ragazzo.
Non ci fu bisogno di fermare l’auto, entrata nel cono di luce, sotto il disco, tutta l’attività elettrica cessò, la combustione nel motore si zittì ed i movimenti dell’uomo produssero una scia. Dinanzi al cofano era apparsa una figura che si diresse verso lo sportello del guidatore.
Genzo Umon incrociò gli occhi profondi di Duke, l’unica parte visibile del volto, attraverso il casco.
- Scendi ,vieni con me.- la sua voce era chiara, giungeva senza alcun impedimento.
- Non posso lasciare qui la macchina.-
- Si occuperà Grendizer.-
Umon seguì il ragazzo, si fermarono , dove la luce aveva una intensità maggiore, in corrispondenza di un cerchio che segnava il centro del grande disco. Guardandolo, con la testa all’insù, aveva smesso di pensare alle sue dimensioni, si era lasciato rapire completamente dall’esperienza ; la luminosità che lo avvolgeva stava confondendo i suoi sensi e gli sembrò che i cerchi concentrici ,sul ventre della nave, pulsassero.
Un braccio gli cinse le spalle e Duke lo mise in guardia .
- Ora, è acqua.-
Improvvisamente perse ogni peso ed il ragazzo serro la presa per rassicurarlo. Erano entrati, come non sapeva, si ritrovò a fissare una parete semi trasparente che l’alieno attraversò.
Riavutosi dalla sorpresa dopo qualche secondo, varcò il ‘vetro’opaco . Fu sbalordito nel vedere la cabina di pilotaggio, non c’erano strumenti, solo due colonnine di metallo grigio davanti ad un sedile a forma di mezza luna allungata e tronca nella parte inferiore. Dinanzi allo scarno arredo erano disposti dei quadranti luminosi, senza alcuna consistenza materiale; simboli incomprensibili si riversavano, scorrevano o sostavano fissi e silenziosi. Si erano scambiati i ruoli in quel momento, per giorni aveva fatto da ‘guida’ al ragazzo che osservava e apprendeva come un bambino, ma non con la stessa qualità razionale. Umon si sentiva confuso, impacciato, tanto che gli sembrava di diventare sempre più pesante. Duke gli posò una mano sulla spalla; doveva avere compreso il suo disagio, sollevò la visiera del casco esponendo il viso e gli fece cenno di sedere.
Accanto al sedile centrale, sulla destra, in posizione più arretrata, vide un secondo sedile….non l’aveva notato o era apparso in quel momento?
Prendendo posto toccò con un braccio una delle schermate, questa scivolò, ordinatamente, sotto una seconda.
-Duke, ho spostato qualcosa.- la sua voce era tesa ed il ragazzo sorridendo lo rassicurò.
- Calmo. Solo io…posso muovere Grendizer.-
Il contatto con lo schienale fece emergere due braccioli mentre gambe e piedi si adagiarono nelle parte terminale del sedile che si completava abbracciando delicatamente il corpo.
La postazione di Duke si compose nello stesso modo e davanti a lui si andò formando una mappa tridimensionale che mostrava con chiarezza tutto il territorio circostante, raggiungendo i confini delle zone abitate. Al centro un punto luminoso segnava la loro posizione, lungo un sentiero di montagna.
- Dove è il centro ricerche?- chiese e con un movimento della mano fece scivolare la mappa davanti a Umon. Indicato il luogo, l’ologramma tornò al suo posto. Per un attimo Duke sembrò riflettere.
-E’ molto vicino.- chiarì inutilmente il passeggero
- Si, ma… sei mai stato fuori?-
- Fuori?- c’erano delle incertezze nel suo esprimersi, non aveva l’abitudine di correggerlo a meno di un errore vistoso, ma questa volta non era chiara la domanda.
- Fuori.- disse puntando un dito verso il cielo.
Umon adocchiò il paesaggio esterno, oltre i comandi e si domandò se per lui fosse davvero possibile una esperienza del genere; gli astronauti dovevano sottoporsi a controlli ed addestramenti e di solito, tranne rari casi, non avevano la sua età. Però se c’era una possibilità…
-No, figliolo, non sono mai stato in orbita, fuori…- ebbe paura di chiedere altro e non sapeva cosa aspettarsi.
- In orbita…- Duke corresse con quest’ultima l’espressione ‘fuori’, Umon si era abituato a quel modo di fare, ogni nuovo termine veniva ripetuto una sola volta e di solito non lo dimenticava…quante parole aveva imparato in quei giorni? Era stato capace in poco tempo di impossessarsi delle basi della lingua, non era perfetto, spesso poco fluente ed il suo accento era marcato; con un po’ di imbarazzo pensò che lui, invece, non si era sforzato in alcun modo di imparare anche solo un termine della lingua aliena.
Improvvisamente venne sottratto ai suoi pensieri, lo scenario più affascinante che potesse esistere, per lui, si era dispiegato dinanzi ai suoi occhi. Trattenne il fiato, alla presenza della linea curva dell’orizzonte che morbidamente diventava nero e per la prima volta, in vita sua, vide le stelle a occhio nudo. Si sentì stringere la gola e tentò di dominarsi, non era il tipo da lasciarsi andare così facilmente. Duke lo guardava, sorridendo e gli posò una mano sul braccio, stringendo gentilmente.
- Va tutto bene?-
- No.- gli rispose , liberando finalmente le sue sensazioni con una risata. Non aveva sentito alcuna accelerazione , vibrazioni o scossoni , nulla di quello che si aspettava, continuava anche a sentire il suo peso,anzi, in misura maggiore del solito.
Una serie di comandi vennero pronunciati nella duttile lingua extraterrestre e lo scenario esterno si spostò dalla Terra alla nera profondità in cui giaceva un disco perlaceo in rapida espansione. La Luna …
Ancora una volta il dott. Umon venne distratto, il suo corpo rapidamente aveva smesso d’essere pesante.
- E’ meglio così.- spiegò Duke,
- Era la gravità di Fleed?- intuì lo scienziato.
- Si, stanca …in poco tempo se…-
- Se non si è abituati.-e Umon si sentiva stanco, soprattutto emotivamente.
- Si, ora torniamo. …se vuoi, torniamo ancora… non posso dare altro…-
Comprese ciò che cercava di dire e fu ancora una volta sopraffatto dalle emozioni. Lentamente la nave virò, i crateri le lande tutto ciò che aveva sempre osservato da lontano, con la chiarezza delle immagini fotografiche non gli avevano mai dato neanche vagamente le sensazioni che provava in quel momento. I colori ed il nitore di quel paesaggio scabro erano una esperienza impagabile. Per la prima volta ringraziò d’aver perso l’antenna e non solo per il momento che stava vivendo, ma per chi gli stava accanto. La vita che aveva vissuto, prima del loro incontro, gli apparve chiara e interessante,ma come le foto, che aveva sempre guardato, mancava d’intensità.
La nave puntò verso un semicerchio di luce argentea: la Terra.
- Duke, che cosa rappresenta la testa?- il pilota lo guardò in modo interrogativo.
- E’ Grendizer…ma forse è più facile così.-
Un comando vocale fece materializzare alcune immagini davanti alla postazione del dott. Umon. Immediatamente l’idea di una polena sembrò tanto ridicola quanto ingenua. Il disco non era una ‘semplice astronave ’, ma un abitacolo di supporto che racchiudeva un robot, di cui sporgeva solo la testa, mentre le braccia completavano, ad incastro, i fianchi della nave. Umon aveva preso atto di una convergenza evolutiva o origine comune, fra terrestri e fleediani, però quella convergenza tecnologica aveva un aspetto a dir poco inquietante.
- E’ con Grendizer che hai combattuto Vega?-
- Si, ma non bastava. Erano troppi. Non abbiamo avuto tempo. Ora è tutto perso.-
Duke abbassò la visiera del casco , la luce divenne fioca mentre fuori dall’abitacolo l’impatto con l’atmosfera cancellò in una fiammata la vista della Terra.
Edited by runkirya - 5/9/2009, 15:48