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GUNDAM CONTEST FANfic: John Murodock
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GUNDAM CONTEST FANfic: John Murodock

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icon14  view post Posted on 8/3/2009, 16:17     +1   -1
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QUEST'OPERA E' A CURA DI
JOHN MURDOCK





QUOTE
TRA LE STELLE
Pat all’anagrafe faceva Guy Lemarchand. Quel suo alias non era l'abbreviazione di “Patrice”.
Era nato durante l’OYW in una colonia così periferica che del famoso conflitto i suoi residenti conobbero più il timore che l’orrore. Molti giovani locali erano partiti per il fronte terrestre, ma rientrando quasi tutti. E questo aveva convinto Pat di far parte di un Side speciale, e che se si fosse trovato nell’ambiente adatto alla sua “vera natura” ogni traccia residua di dabbenaggine sarebbe svanita. Tutta colpa di un paio di lezioni sulla Teoria dei NewType all’ultimo anno di scuola... Che certe cose fossero infatti solo il prodotto di leggi universali come la Statistica e la Fortuna, no, non lo tangeva proprio. Finché non fu l’ora di darsi da fare, e mille aspettative di gloria, e il suo Nobile Spirito, finirono in quel nomignolo. Patata.
Le selezioni attitudinali lo destinarono al supporto logistico, e i suoi tempi di adattamento alle operazioni a Gravità Ridotta risultarono più lunghi della media. Forse non era proprio vero che nascere nello spazio bastasse a far di te un Amuro Rei… Ai corsi di aggiornamento, però, si distinse sempre bene, inclusa la volta che a fargli da istruttore ci fu il famoso Astonage, uno che aveva dato del tu a gente come Quatro e lo stesso Amuro. Per questo gli si aprirono le porte, o meglio i ponti, della Haydn, un incrociatore federale che dicevano fosse la mitica Albion rimessa a nuovo. Incarico che gli fu prezioso due volte: nello spirito, spingendolo a dare il meglio per non disonorare un luogo che vide all’opera Nina e Moura nell’epico inseguimento a Delaz e Gatoh, e poi nel fisico, perché i Ponti di lancio erano così distanti che per raggiungere l’uno dall’altro si faceva delle gran sudate malgrado i classici nastri di scorrimento alle pareti.
E sulla Haydn trascorse 5 anni. A combattere. Disarmato. Combattere con lo spazio e col tempo. Trovando posto nella stiva di stoccaggio già ingombra di materiali e munizioni per altri materiali e munizioni; e assecondando quegli ufficiali che ti ordinavano di svolgere certi compiti nella metà del tempo di cui umanamente avevi bisogno. 65 voli, 22 battaglie, una media di 3 interventi al giorno; il più difficile dei quali fu arginare il vasto incendio nel ponte di tribordo dopo l’atterraggio di fortuna di un G-Fighter. Il pilota inesperto e sotto shock non aveva sganciato le armi né inviato la richiesta di ricovero d’emergenza in tempo perché il portellone s’aprisse del tutto; pagò con la vita, rischiando pure di portarsi dietro Pat e 8 compagni di reparto.
Nei turni di riposo, l’immagine di quel meteorite di fuoco e titanio che solcava improvvisamente l’hangar gli appariva ancora di quando in quando, e allora solo i sonniferi potevano farlo riposare. Una cosa proibita dai regolamenti. Nel laboratorio della Sala Riunioni c’era un motto: “L’ingegno non muore mai”; sul muro dello spogliatoio della sezione logistica qualcuno aveva scritto a pennarello “L’ingegnere non dorme mai”. Vero: sei sempre richiesto, perché c’è sempre qualcosa da riparare o adattare, e a volte d’urgenza. Urgenza vitale. Valvole, circuiti, caricatori; persino tubi e lampadine. Sempre pronti ad accorrere. Sempre. Ma riflessi appannati ti rendono impreciso e nervoso: quando c’era da riposare, bisognava riposare; e Pat lo sosteneva deciso. Anche se, come in questi casi, era solo una scusa per la sua incapacità di domare lo stress.
La Haydn era di rado in prima linea. Era tenuta a disposizione per supportare le avanguardie quando avevano difficoltà, e per l’attacco in massa quando avevano successo. Una posizione che però assommava spesso all’ansia di prender parte a operazioni disegnate da strateghi poco affidabili, anche un certo senso di frustrazione per il ruolo di eterna spalla, talora addirittura di spazzini quando non d’intrufoloni superflui e privilegiati… A bordo il ricambio dei piloti di MS era molto alto: tantissimi stavano lì solo il bimestre obbligatorio e si facevano trasferire in cerca di occasioni migliori. “Un soldato è prima un uomo e poi un eroe” era un bel motto: peccato che un pilota dalla bassa autostima non abbia mai reso buoni servizi. Chiaro: vai a sparger morte sulla tua stessa bara meccanica! Se non ti gasi un poco, esci di testa. E Pat aveva detto ciao e addio a decine di ragazzi e ragazze, avendo cura dei loro mezzi e sopportandone reclami e superbia. Alcuni di loro gli furono quasi amici, al punto da fargli sperare di poter sottrarre qualche componente di prima scelta per installarlo sul loro MS potenziandolo, altri gli furono così odiosi da sognare di lasciargli allentata quella certa connessione di sicurezza.
- E tu non vorresti emergere? Sì umiltà e timore, ma…davvero non sogni la grande occasione, Pat?
- Eh, devi esserci tagliato.
- Ma se sotto i riflettori sei un drago…!
Pat colse l’allusione e spintonò via bonariamente l’interlocutrice. Che poi era la vicecomandante dell’Haydn, donna bella e chiacchierata: dal suo essere figlia di un ex-asso zionista, al suo continuo litigare con lo Stato Maggiore, alle misteriose imbottiture del suo reggiseno; entrò nelle grazie di costei pian piano fino alla sorta d’amicizia in corso. Qualche favore, qualche sorpresa, qualche battuta rispettosa. Poco ma bene. Fino al giorno che la tolse proprio dai guai. Accettando di sostituirla in una riunione sui profughi. Lei doveva partecipare, ma era accaduto qualcosa, così lo pregò quasi in ginocchio di darle il cambio. Non era un capriccio o pigrizia e timidezza, e Pat non rifiutò. Così, mentre l’intrepida vicecomandante si lanciava nella sua impresa segreta, 80 kg di patate affette da panico da palcoscenico affrontarono una platea di varia e famelica autorità. La donna riuscì clamorosamente nella sua impresa d’emergenza; idem Pat.
Rimasero in contatto anche dopo il trasferimento di lei sull’ammiraglia della flotta (una promozione che nessuno dubitava le sarebbe presto toccata). E Pat non dubitò mai che quei 2 minuti d’applausi grazie a lei fossero stati la sola e vera Grande Ribalta della sua vita. Sì: il successo e il protagonismo gli erano sfrecciati davanti, ne aveva avuto un assaggio.
Come quando quel G-Fighter…
Sull’Haydn Pat aveva vissuto alcuni momenti importanti. Show e incendio a parte, vi aveva ricevuto la notizia della morte del padre, e consumato un’appagante relazione di oltre un anno con un’addetta alle mense.
- Meriti tante belle cose…
- Al massimo, l’occasione d’essere d’aiuto, và.
Ribatteva sempre così al ritornello. Trincerato dietro il ruolo sociale e la certezza che chi lo giudicasse bene giudicava male. L’avevano mai visto rimediare figuracce in classe? Litigare per un parcheggio? Abbuffarsi di snack? Sfuggire ai mendicanti? Sbuffare alla vista di un MS fresco di riparazioni che rientrava ridotto a rottame dopo aver combattuto una battaglia eroica ed emozionante? No. Ma lui lo aveva fatto. Si era visto farlo. "Che mondo sarebbe se cose importanti si richiedessero e premi si conferissero a gente così mediocre?"…
Discorsi che sentiva nel cuore, e che la sua ragazza non sopportava, considerandoli miserabili ed egoistici. Specie con un intero Sistema Solare da sgomberare di ciurme piratesche, revival zionisti, e autoproclamati conquistatori illuminati!
- Quando tutto l’equipaggio della WB si è armato per respingere i commandos di Ral tu ti saresti nascosto?!
- …No. Ma avrei dovuto forse, perché mi sarei preso senz’altro una palla qui e basta!
Di lì a poco era sceso il gelo fra loro due.
“Ingranaggio”, riusciva a pensare alla soglia del sonno. Rivedeva il maestro di meccanica, e le sue filosofie, che l’energia e gli ingranaggi hanno la stessa importanza nel funzionamento delle cose…ma poi la classe veniva spazzata via dall’asteroide di fuoco, il cuore impazziva, e la mano correva al tubetto di pillole.
All’alba di quel 2 marzo, una vibrazione intensa scosse la cuccetta di Pat; destatosi a galleggiare e pur tra le nebbie del sonno e della sorpresa, capì che il disco gravitazionale si stava fermando. Si vestì cercando di ricordare i dettagli della manutenzione dell’impianto, mentre il suono dell’allarme si faceva strada nel dormitorio.
Uscito, non trovò maniglie disponibili sul nastro trasportatore, indice che molta gente stava già percorrendo il corridoio. Cominciò a slanciarsi lungo le pareti come sott’acqua. A un collega che lo bloccò per chiedergli dove fosse stato fino a quel momento e dove fosse diretto ora, biascicò qualcosa sul disco rotto e la necessità di ripararlo presto, ma il primo lo scrollò subito perché si rendesse conto che la Haydn si trovava sotto attacco, in mezzo ad un’imboscata. Pat basito chiese chi avesse potuto e come fosse possibile, ma lasciò perdere immediatamente: era un genere di domande superflue per un tecnico. Non contava chi né come mai. Contava il danno fatto. A loro rimediare, sì, e presto. Presto.
I dischi gravitazionali stanno nei punti più bassi dello scafo delle navi, e ruotando ad altissime velocità generano quel minimo di gravità che consente la calcificazione delle ossa all’equipaggio e un ridotto galleggiamento d’oggetti e suppellettili. Non essendo proponibile l’impiego di un solo disco grande come l’intero vascello, ve ne sono numerosi divisi in zone. Era anche la ragione per cui molte navi hanno il noto aspetto modulare sgraziato. Ovviamente, i nemici di solito ti attaccano proprio dal basso per gettare improvviso scompiglio nei ponti superiori togliendoti la gravità.
L’attacco di chissà chi malgrado il quadrante pattugliato fosse stato definito tranquillo, aveva coinvolto la Haydn e la Maito, cui la prima faceva da scorta verso la Luna. Pat si ritrovò assegnato proprio al ponte di tribordo; quello per il rientro e il ricovero dei mezzi. Dapprima si dedicò ai carrelli degli attrezzi, quindi alla consolle delle gru, infine alle piattaforme idrauliche. Fra un cambio turno e l’altro, fra un’occhiata al portellone e l’altra, ebbe qualche informazione su cosa accadeva fuori.
- La nostra guarnigione è uscita quasi tutta in supporto alla Maito; tre MS stazionano sopra i ponti maggiori a nostra difesa, e il timoniere manovra per allontanarsi, così il fronte nemico s’allunga e assottiglia…
- E noi qui sopra chi abbiamo?
- Credo Tracker, col suo Nemo.
- Male. E’ più lento e potente dei GM: se lo beccano ed esplode, di sicuro ci scoperchia l’hangar…
- E’ un duro: vedrai che se la cava liscia, Pat.
- Sarà. Senti, vediamo di mettere al massimo l’aerazione, qui dentro: evitiamo di accumulare gas combustibili nel caso d’intrusioni, ok?
- Fallo tu, io devo correre alle munizioni.
- E in quanti restiamo qui?!…
Non ebbe risposta dal collega già diretto al condotto per il Ponte di lancio. Mentre saliva la scaletta, udì nel comunicatore portatile l’ordine di disporsi a ricevere un GM della Maito. Per esperienza, era sempre una seccatura in più offrire riparo a soldati e mezzi di altre navi, diversamente abituati e spesso sconosciuti. Un collega si lamentò che era già il 3° su 4 arrivi, come se Haydn e Maito si stessero scambiando gli equipaggi. La luce azzurra che annunciava l’apertura del Main Lock cominciò a ruotare; Pat calcolò di avere tutto il tempo per finire la doppia scalata fino ai controlli secondari dell’aeratore e salì, dal condotto di fuga detto “la trincea” (che circondava le piattaforme idrauliche di contatto ai lati della pista e che fungeva appunto oltreché da riparo per i tecnici e i piloti diretti ai mezzi o alle uscite, anche da zona di pausa, con la sua brava tappezzeria di graffiti vari, cassette mediche e giornalini) fino al camminamento sopraelevato che correva lungo la parete verso il Lock; si tirò sul volto la maschera protettiva e i tappi speciali, allacciando stretti i guanti. Aggrappato al corrimano e con la tuta sbattuta dal risucchio montante, destò la consolle dallo stand-by mentre il GM ospite metteva il muso sfrangiato nell’hangar 15 metri più avanti. Lo guardò passare constatando con sollievo l’assenza di fiamme vive; sperò comunque che chi manovrava la rete d’accoglienza contro cui si sarebbe appoggiato per frenare e posarsi sulla piattaforma fosse particolarmente delicato, dato che la sua SpryGun non sembrava sicurata, e sbattendo al suolo avrebbe potuto far partire qualche colpo. Era già successo.
Come sospettava, malgrado il risucchio dell’apertura la percentuale di metano ed elio stantia era alta, così cominciò ad evacuarne più possibile dai soffioni.
“Speriamo che Tracker lassù non si spaventi”, pensò figurandosi l’MS verde-blu sobbalzare come un bambino sorpreso dai geyser artificiali del baraccone dei brividi al Luna Park.
- Pat mi senti? Perdiamo pressione, che fai? Passo.
- Faccio fare il ruttino alla piccola. Perché non cominciate a chiudere il Main Lock invece? Passo.
- Vieni giù, abbiamo problemi col nuovo arrivato della Maito: dice di riparargli veloci il GM e tenere aperto perché “lui deve assolutamente ripartire subito” ad aiutare non so che amico suo…
- Eh?!
- Jeff sta provando a spiegargli come funziona qui, ma quello pianta rogne…!
- E fallo parlare col ponte di comando, no? Passo.
- Non ho nessuno agli InterCom… Siamo 5 qui, te compreso…
- Diavolo!… Senti, ne ho io uno qui. Intanto tu chiudi il Lock, e se quello reclama dì che è automatico. Chiudo.
Dall’InterCom non vennero buone notizie: l’operatrice Ella gli riferì dello scontro variabile, dei sistemi difensivi commutati sull’uso manuale per consentire al computer centrale di non perdere i fari radar di riferimento, compromessi dalla quantità di particelle Minovski disperse, e i danni localizzati ma significativi che stavano impedendo l’invio di tecnici di supporto al suo e agli altri hangar. Figurarsi se con un tale bollettino fosse possibile far rapporto e chiedere istruzioni per un fighetto della Maito che voleva tutti al suo servizio.
- Jeff, eccomi, lascialo a me… Ascolta bene, pilota: o ci dai mezz’ora per il tuo GM o t’infili in quel corridoio fino al settore 11, quello di lancio, e ti fai dare un altro mezzo.
- Mezz’ora?! Stellan non può resistere da solo! È contro Archangel che si sta battendo!…
Stupore stranito dei colleghi, ma Pat si calò nella parte e troncò il nodo di Gordio.
- Così è lui il nemico… Beh, che aspetti? Vai al ponte 11 e dì loro che ti mando io! Sono Hill detto “Diavolo” Stetson. Vai; vai!
Quello esitò, poi disse grazie e s’infilò di foga nel condotto. I compagni basiti gli chiesero di cosa parlava.
- Sono all’oscuro come voi, ma ora non pensate più al grintoso capellone che sbucherà in mensa gridando che lo manda “il diavolo stesso”, e piuttosto cominciamo subito a sgomberare quel rottame di GM dalle piattaforme stoccandolo sulla parete, dai.
- Sembrava sapesse quel che diceva…
- Oh, anch’io lo penso, Jeff. Solo che con la Haydn da salvare, non possiamo certo star dietro alle gare onorevoli di bravura dei nuovi Amurini e Charini di turno.
La benna componitrice abbrancò il GM e lo portò a contatto con la fascia elettromagnetica della parete sinistra, lasciandovelo appeso. Il Main Lock frattanto si chiuse.
- Che hai sentito all’InterCom, Pat?
- Plancia nel caos, tutti che vomitano…3 batterie ko e la corazza di ceramica di babordo in via di distacco “a puzzle”. Capisci?
- Mh…O scappare o schermarsi col fianco sano…il nostro.
- Infatti il timoniere manovra per inclinarci.
- Addio dischi.
- E se Tracker lassù è ancora vivo, lo richiameranno: prepariamoci a veder quella parete riempirsi di bugnoni.
- Ci sono agganciati i 2 container dei ricambi: magari...resiste di più…
- Vedremo, Jeff. Vedremo. Dai, mettiti tu alla Main Control Room.
- Roger.
I secondi passavano lentissimi, e il semi-galleggiamento, anche utile spostando carichi pesanti, cominciava a dar la sensazione di muoversi in un sogno. Di quelli brutti, e stupidi, e…che si spera sempre che non cambino registro di colpo diventando incubi.
“Possibile? L’ultimo volo della Haydn… L’ultimo volo mio…?”
- Pat! Messaggio dalla plancia! Se ho capito, c’è un Gundam Mark II della Maito qui fuori che…non so se deve… Pat…
- Come? Adesso?… Jeff, fatti conferm...
Mentre già cercava con lo sguardo il portellone, un tuono scosse l’hangar; veniva dalla parete, dove uno dei container appesi si sganciò per un attimo, restando appeso storto e poggiato contro il vicino, due metri sopra la consolle degli aeratori e l’InterCom usati prima. Una vertebra del collo, una del bacino e il ginocchio sinistro di Pat urlarono di dolore quando l’onda d’urto lo raggiunse buttandolo contro il bordo della trincea che aveva cominciato a salire, lasciandolo dolente e spaventato.
Il suolo tremò per un’altra esplosione più lontana. Il suono che ne proveniva rivelò che il disco di gravità del loro Ponte era sotto sforzo massimo. Gli attrezzi d’una cassetta si riversarono in aria come saette d’argento e le gru roteavano e ciondolavano impazzite. Perché ancora nessuno ordinava l’evacuazione?!
- Pat? Paaat!
- Qui… Sono...qui... Jeff, dove sei? E gli altri?
- Quassù, Pat! Gli altri li vedo, sembrano tutti bene… Ma l’impianto radio è saltato del tutto… E non so più se devo aprire il Main… Se Tracker cerca riparo…? Passo!...
Paura e dolore toglievano il fiato a Pat riverso nella trincea. Strinse i denti, socchiuse gli occhi e contrasse i muscoli delle cosce, slanciandosi verso il bordo della pedana e la scaletta. Udiva, in mezzo all’acufene, un soffio come di bombola o conduttura danneggiata; qualcosa nel profondo lo costringeva a precipitarsi verso la consolle della parete, mentre un angolo del cervello gl’ispirava l’immagine che da un istante all’altro un secondo demoniaco rintocco alla parete si sarebbe abbattuto, con chissà che esiti per lui che la percorreva.
Già: magari il Gundam non meritava né richiedeva di entrare…ma se le comunicazioni erano saltate e il Nemo di Tracker rimasto a difendere il loro Ponte in quell’inferno voleva cercare riparo?… Tracker… Un ragazzo d’oro… Presto!
Uno slancio; un altro. Il rombo del disco era oramai così esasperato da giungergli malgrado la distanza dal suolo. La schiena era un’incudine battuta, e stava perdendo sensibilità ai lombi… E poi l’attesa per quel colpo alla parete accanto…che forse si sarebbe piegata fino a schiacciarlo contro la balaustra…o forse si sarebbe squarciata vomitando nell’hangar un nuovo asteroide di fuoco…
Ma ecco l’InterCom! E l’aeratore.
- Plancia, qui Ponte 2… Impossibile operare, fateci evacuare; ripeto… Ella? Ella! Ella, ti prego, rispondimi!… Non lasciateci qui!…
Il fruscio indicava che c’erano comunicazioni in corso, chissà di chi, chissà per chi. E ora?
Pat sospirò, con un rantolo mozzato. Si girò. Sia Jeff alla Main Control Room sia gli altri tre compagni avevano il tunnel di fuga a portata; e Pat si convinse che fra le mille vibrazioni inconsulte che percepiva c’era qualcosa simile ai passi di un MS oltre il soffitto…
“Apri”, fece a Jeff con un ampio gesto, e abbracciò la balaustra irta di graffi. “Ma sì, in fondo chi diceva che là fuori sia un inferno? Se il colpo di prima era uno isolato… Se il timoniere ci ha portati fuori mischia… Se la Maito è all’altezza… Se lì fuori c’era questo mitico Stellan, nuovo eroe… Perché fare tante tragedie?!” Con uno stupido sorriso sulle labbra, Pat guardò il Main Lock socchiudersi, intravide la striscia nera dello spazio e cominciò a lasciarsi scivolare verso il buio dell’incoscienza dal dolore. Di colpo una granata detonò ad apertura in corso, producendo un botto stordente e una vampa accecante. Sorpresa e risucchio crescente fecero cadere Pat, ma una botta agli stinchi sul bordo della trincea ne spezzò la caduta, consentendogli per la ridottissima gravità di ripararsi il capo salvandosi. L’ennesima onda di adrenalina gl’impedì di svenire, si drizzò e percepì enormi masse muoversi sulla pista aldilà delle piattaforme.
Un Gundam e un Hizack erano penetrati, battagliando e inseguendosi, nell’hangar. Non parevano badare ad altro che non fosse il proprio rivale, colpendo con furia e maestria. Beam Saber e Heat Fork si scontrarono 2 volte, poi entrambi balzarono e al terzo impatto generarono scintille che incendiarono l’elio accumulatosi sul soffitto. La fiammata travolse entrambi scagliandoli al suolo ai lati opposti dell’ambiente, restandovi seduti come in punizione o esausti, sotto la pioggia d'estintori. Pat si chiese se i due piloti fossero vivi, ma di colpo il mitra Gatling sul cranio del Gundam fece fuoco alla cieca, e l’Hizack armeggiava con la rastrelliera di Hand Granades che aveva sul fianco. La fiammata doveva aver bruciato ad entrambi le telecamere e i due nemici irriducibili cercavano ora di colpirsi “percependosi” chissà come.
Il punto era che l’esplosione di un MS avrebbe coinvolto l’altro, disintegrando l’hangar, polverizzando il Ponte, e segando in due la Haydn.
I bossoli dei colpi schizzavano dappertutto, lenti ma capaci comunque di frantumar ossa, e Pat s’accucciò nella trincea urlando.
- Jeff, stacca i magneti, staccali subitoo!
L’intero hangar parve avere un sussulto e le luci lamparono, mentre dalle pareti cominciarono a piovere tutti i carichi sospesi. Il GM appena stoccato cadde sull’Hizack, e i containers di destra sul Gundam, lasciandolo a finire le cartucce contro il pavimento fra le sue gambe disarticolate.
Pat ancora tremante contò fino a 6, e s’inerpicò sulla parete della trincea fino ad ergersi sulla pedana idraulica allagata di bossoli. Due colleghi lo imitarono nei pressi dell’Hizack. Ridicoli e vincenti come morti viventi di serie C. Pat colpì due volte il comunicatore sperando di non averlo fulminato.
- Pat sei vivo? State bene?
- Jeff… Blocca il Main Lock, vuoi? Squadra! Tiriamo fuori questi due…questi due.
Presi, li condussero alla stanza di controllo secondaria, entrambi tenuti sotto minaccia di TaserGun, sia l’asso della Maito, sia il temibile campione aggressore. Che poi era una ragazza.
Stellan e Archangel, gli eroi designati, col loro aspetto battagliero, stessa fiera determinazione a brillare negli sguardi.
- Ora fermi qui; vi ripariamo i MS, e sparite subito. Chiaro?!
Volevano obiettare, ovviamente, specie Stellan convinto di aver perlomeno catturato la rivale.
- Eviterò il rapporto su come la vostra scriteriata condotta abbia messo tutti in pericolo, ma non voglio obiezioni. Ok!?… Squadra: l’ultimo sforzo, dai.
Sgombrarono, aggiustarono, e si rappezzarono; i tecnici residui del Ponte 2 della Haydn che volava chissà dove e chissà in che stato.
Soprattutto intervenire sull’Hizack dalla doppia antenna e dalla livrea inconsueta fu difficile, ma Jeff ebbe l’idea di trapiantargli un blocco ausiliario del GM. Audace; irregolare. Funzionò.
Ogni tanto Pat gettava lo sguardo oltre il lastrone dell’improvvisata cella d’onore. I due erano rimasti a fissarsi con ostilità per un po’, e poi avevano preso a scambiare qualche frase altera e convinta. Quando vennero liberati e raggiunsero i rispettivi abitacoli sulle catapulte d’emergenza non dissero nulla, frustrati per l’esito e la figura ottenuti, ma probabilmente di qualcosa si erano resi conto, visto che indirizzarono allo staff di Pat un saluto sull’attenti prima di farsi inghiottire dai ventri meccanici dei loro mezzi. E partire sparati nella notte spaziale.
“Che tipi: il genere di scemi teatrali che non saranno mai felici neanche vincendo una guerra da soli. E tu, Pat? Sarai mai felice tu?… Magari. Più o meno.”
Come immaginabile, i condotti d’emergenza erano bloccati, ma il destino prepotente non aveva più bussato alla parete, così non restò loro altro che attendere la fine del viaggio, forse la Luna, o magari una stazione della Anaheim, per poter rivedere il resto della ciurma e lasciare quell’hangar.
Ore, che trascorsero cantando assieme qualche hit, discutendo di donne, di baseball, anestetizzando meglio possibile piccole ferite e dolori. Più o meno grandi, più o meno importanti, anche loro.
John Murdock

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